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Come se mangiassi pietre

Da Luca.sempre @lucasempre_
Srebrenica Giuliano Camarda Blog Secondosempre


Foto di Giuliano Camarda

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In questo post ti parlerò di: 

  • Un libro crudele e meraviglioso che ti spiega cosa vuol dire “mangiare le pietre”.
  • Un fotografo che ti racconta i volti delle persone costrette a mangiare proprio le pietre.
  • Un pittore che non dipinge le sue tele ma preferisce ferirle.
  • Un gruppo musicale che ha le “pietre” scolpite nel nome e che ha segnato in modo indelebile la storia della musica (no no, mi dispiace, non sto parlando dei Rolling Stones).
  • Un lago che trasforma gli animali in pietre.

Avrai certamente notato, caro sempreLettore, che ho deciso d’iniziare questo viaggio nel sempreMondo partendo proprio dalle [pietre]. Il motivo è semplice.

Anticamente le strade erano fatte di pietra, e in fondo ogni pietra è la testimonianza di un passaggio, di un tempo che non tornerà più. Ogni pietra è un segno.

E a me piacciono i segni.

Iniziamo però anche da un libro. Perchè tutti i viaggi nascono dai libri e perchè a me piace spesso partire dai libri per raccontare altre storie.

Sei pronto? Bene. Il libro in questione s’intitola (appunto) “Come se mangiassi pietre”. E’ un romanzo/reportage che parla di guerra. Di una guerra.

Ma è anche altro.

È una delle migliori opere letterarie mai uscite sull’argomento e – senza dubbio – uno dei più straordinari resoconti di [fame] e [morte] che siano mai apparsi tra le pagine di un libro da molto tempo a questa parte.

Vedi lo scatto di Giuliano Camarda che apre questo post? Secondo te cosa rappresenta?

Confesso che a prima vista ho pensato alle panche in legno di una chiesa abbandonata. Poi ho immaginato che si trattasse di una qualche installazione di arte contemporanea.

E invece no. 

Molto più semplicemente, quei solidi geometrici dalla forma esagonale immortalati in fotografia non sono altro che [bare da morto] al cui interno trovano posto oggetti e indumenti appartenuti alle vittime del conflitto civile che tra il 1992 e il 1995 ridusse la Bosnia/Erzegovina a un cumulo di pietre e sangue.

Talvolta gli oggetti e gli indumenti nella bara si mischiano alle ossa.

Talvolta con le ossa ci sono anche i corpi.

Talvolta.

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War Scars Giuliano Camarda Blog Secondosempre


War Scars – Foto di Giuliano Camarda

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[Mi raccomando] (Ogni volta che nei post di secondosempre troverai raccomandazioni scritte fra parentesi quadre, non farti pregare due volte, ok?)

Dicevo. [Mi raccomando]. Quando avrai finito di leggere quest’articolo, dai un’occhiata allo splendido reportage fotografico su Srebrenica e sulla Bosnia/Erzegovina realizzato dal fotoreporter italiano Giuliano CamardaÈ davvero impressionante come sia riuscito attraverso i suoi scatti a cogliere le atmosfere strazianti del libro.

In particolare, l’immagine in bianco e nero che vedi qui sopra (l’uomo che esamina le ossa, tanto per capirci) ricorda in modo preciso e altrettanto simbolico l’indimenticabile e straziante scena di apertura del libro, scena in cui si racconta il metodico lavoro di una scienziata specializzata nel ricomporre corpi umani (quel che ne resta) partendo proprio dall’analisi delle ossa.

  1. Lei studia le ossa.

  2. Lei numera le ossa.

  3. Lei assegna le ossa a quel che resta del corpo. Una specie di macabro Ruzzle al contrario. [Ossa] al posto di [Lettere]. Combinazioni. Tentativi. Incastri. Il Ruzzle delle Ossa.

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# Senza chiedere il permesso

Quello che accadde laggiù fu un vero e proprio genocidio etnico e religioso d’inaudita ferocia, tanto che alcune scene del libro a ritmo di machete sembrano ambientate nella tribale Africa.

E invece no. Eravamo solo a due passi dalle coste italiane.

Eppure, a distanza di anni, sembra ormai già tutto dimenticato. Perchè il tempo cancella e sostituisce. “Spazzola” – direbbe la buonanima di mia nonna che di guerre ne ha vissute ben due.

Il tempo spazzola. Suona bene.

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Come Se Mangiassi Pietre Blog Secondosempre

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Leggilo.

Compralo.

Rubalo.

Fattelo regalare.

A metà tra fiction e reportage di guerra, “Come se mangiassi pietre” è potente e distruttivo quanto l’immagine evocata dal titolo stesso. Mangiare pietre. Mangiare ciò che non è commestibile, metabolizzare immagini impossibili da digerire. Un viaggio allucinato e disperato in un orrore senza fine raccontato in modo magistrale da Wojciech Tochman, già reporter e direttore dell’istituto di reportage polacco.

Uno stile scarno, chirurgico, glaciale. Nessuna consolazione. Nessuna speranza. In poche parole: una mazzata. Una pietra nello stomaco. 

Perchè forse Tochman ha ragione. Forse l’unico modo che hai per “avvicinarti” al vero orrore è trovare qualcuno che te lo sbatta in faccia senza chiedere il permesso, che ti prenda a schiaffi con [precisione] [ordine] [metodo] – proprio come fa l’autore in questo piccolo gioiello (appena 144 pagine) ancora sconosciuto ai più. 

Un plauso sincero all’editore (Keller) che ha portato in Italia quest’opera indimenticabile e alla fiera della piccola/media editoria (piùlibripiùliberi) che si svolge ogni anno a Roma a ridosso del Natale e che se non ci fosse sarebbe una vera tragedia. Ma per fortuna c’è.

C’è._


# L’artista che feriva le sue tele

Sei pronto ora per un piccolo salto temporale?

Bene. Torniamo indietro di quasi 40 anni rispetto agli avvenimenti raccontati in “Come se mangiassi pietre” e connettiamo questo piccolo capolavoro di rara crudeltà con le opere di uno dei maestri indiscussi dell’arte moderna. E per farlo partiamo proprio da quella strana sensazione di [vuoto] e [incompiuto] che ti lascia alla fine la lettura del libro.

Una sensazione a cui non sa dare bene un nome. Quella stessa sensazione di vuoto e incompiuto che spesso trasmettono le opere di Lucio Fontana. Già, proprio lui. L’artista che tagliava le tele e poi le lasciava lì, così, tagliate. Zac.

Ma che diavolo c’entra Fontana con le pietre, con la guerra, e con il dolore raccontato nel libro?

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 Lucio Fontana Blog Secondosempre


Lucio Fontana all’opera mentre “taglia” una tela

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Immagino che almeno una volta nella vita, caro sempreLettore, ti sarà capitato d’interrogarti sul vero significato di una tela tagliata.

Immagino quindi che ti sarai posto anche tu (come me) la fatidica domanda: ma davvero è tutto qui? E magari ti sarai dato anche la fatidica risposta: no, non è possibile, c’è qualcosa che mi sfugge, dev’esserci per forza dell’altro, sotto, oltre quel semplice taglio.

Ma in fondo cosa faceva Fontana? E perchè – a suo modo – ha rivoluzionato l’arte moderna?

Semplice: perchè come artista ha [ri-dato] una “fisicità” alla tela. Per Lucio Fontana la tela non era più una superficie da decorare e abbellire, ma un “oggetto fisico” da esplorare. Con il suo taglio invitava a guardare dentro la tela, oltre la superficie, a considerare lo spazio che “emerge” dietro a un taglio.

Dietro a un qualsiasi taglio.

Qui su secondosempre voglio però suggerirti un’altra interpretazione. E se invece “sotto” quei tagli non ci fosse altro? Se fosse “davvero” tutto lì, in quel semplice gesto? Ci avevi mai pensato?

[La quarta di copertina del libro recita] “Cosa rimane quando la guerra finisce e i militari se ne vanno? Quando i reporter fanno i bagagli e ripartono verso altre guerre?”

[Io risponderei] Rimane un taglio – indelebile, profondo, inspiegabile – una tela sfregiata non più ricomponibile, un significato che ci sfugge.

E se dunque il taglio di Fontana non rappresentasse altro che una ferita indelebile, impressa su tela a futura memoria e quindi – proprio per questo – destinata all’immortalità?

Guerra = Ferite = Tagli = Tagli su Tela (lo so, sembra l’equazione partorita dalla mente di uno squilibrato, ma mi è venuta così)

Già. Ci avevi mai pensato?

Ecco (forse) svelato il mistero dei tagli di Fontana. L’artista che feriva le sue tele.

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# La leggenda delle “Rose di Pietra” (a proposito di pietre)

Ma cosa sono queste Rose di Pietra?

Andiamo con ordine. E partiamo anche stavolta da un’immagine.

Sicuramente uno degli scatti più famosi (“iconici”, dicono quelli bravi) quando si parla di guerra – e in particolare dei movimenti pacifisti che sfilarono nelle strade di tutto il mondo ai tempi del Vietnam – è proprio lo scatto che trovi qui sotto.

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Flower Power ai tempi della guerra in Vietnam


Flower Power ai tempi della guerra in Vietnam

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<< Mettere fiori nei vostri cannoni. >>, dicevano i pacifisti. Perchè da sempre i fiori sono associati alla bellezza, alla pace, alla non violenza. Figli dei Fiori, appunto. Flower Power.

E cosa accade invece quando i fiori incontrano le pietre? Come può la fragilità di un fiore essere accostata alla durezza di una pietra?

Ecco. Ci siamo. Un’altra connessione. [Fiori che incontrano pietre]. Le solite pietre. E quando questo accade occorre abbandonare in fretta letteratura e pittura e dirigersi a tutta velocità verso un’altra suprema forma artistica, quella che per prima folgorò il mio cuore (ma non il mio portafoglio).

La musica.

Le “Rose di Pietra” non sono altro che gli Stone Roses, quattro ragazzotti nati e cresciuti nella tristissima Manchester che alla fine degli Anni Ottanta diedero alle stampe il loro primo album omonimo.

E venne giù una rivoluzione.

Nel 2003 la rivista New Musical Express nominò l’album come miglior disco di tutti i tempi.

Nel 2004 la rivista The Observer – dopo aver combinato insieme i pareri di cento esperti, fra critici e musicisti – lo nominò come miglior album inglese di tutti i tempi, davanti a Beatles e Rolling Stones.

Esagerato? Forse. Resta il fatto che il Brit Pop che abbiamo successivamente conosciuto negli Anni Novanta, quel Brit Pop che fece degli Oasis e dei Blur delle band planetarie, quello stesso Brit Pop che imperversa nelle classifiche di mezzo mondo (Artic Monkeys e Kasabian su tutti) paga ancora oggi un tributo immortale alla leggenda delle Rose di Pietra.

Ma c’è un però, caro sempreLettore. E ora voglio confessartelo.

[Io non li capivo. Avevo 15 anni. E non li capivo. Loro. Gli Stone Roses.]

Non capivo quel sound così sfuggente che strizzava più di un occhio a:

  • Le melodie immortali dei Beatles.
  • Il movimento psichedelico esploso alla fine degli Anni Sessanta.
  • La dance inglese (acid house) che grazie anche alla diffusione delle nuove droghe – ecstasy su tutte – partì da Manchester alla conquista dei club di mezzo mondo (ricordi le celebri magliette con gli Smile che imperversavano un po’ ovunque?).

Io non li capivo. Sottolineo.

Non capivo soprattutto il cantante, Jan Brown, che anzichè cantare spesso sussurrava, che muoveva la testa come se fosse perennemente sotto un trip di acido cosmico, che agitava le braccia come se stesse fluttuando nel vuoto o nello spazio.

Ora lo posso dire.

Mi stava sul cazzo Jan Brown.

Davvero.

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Stone Roses

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Alla fine però li ho capiti. Molto tempo dopo. E quando li ho capiti ho ringraziato molte volte Dio per avermi regalato la loro musica. La musica delle Rose di Pietre, dico.

Quattro musicisti stratosferici come raramente se ne trovano oggi. Quattro ragazzotti britannici che da Manchester partirono alla conquista del mondo e che si sciolsero dopo soli due album.

La memorabile storia delle liti interne alla band e della successiva implosione che portò poi al definitivo scioglimento è raccontato nel breve documentario Blood on the Turntable (letteralmente: sangue sul giradischi) che è un po’ La guerra dei Roses applicata all’industria musicale (il documentario è in inglese).

E così, alla fine, promisero che non sarebbero mai più tornati insieme.

Mai più.

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# Non hai bisogno di vendere la tua anima

E invece no. Certi amori non finiscono, cantava Adriano Galliani a cena, la sera del ritorno di Kakà al Milan. Lo cantò molto prima pure Venditti, ma questa è un’altra storia.

Altra classe. Altra stoffa.

E così, nel giugno del 2012, gli Stone Roses dopo 16 anni tornano insieme. E cosa fanno? Decidono di fare un tour. Lo chiamano in modo originale il Reunion Tour. Fissano la prima data a Manchester. In un parco. Heaton Park, per l’esattezza. Fissano poi una seconda e una terza data. Stesso parco, stessa città.

Il risultato ha del clamoroso. 220.000 biglietti spariscono in 68 minuti. La stessa velocità con cui Maradona all’epoca della “Mano di Dio” era capace di far fuori 10 grammi di cocaina.

E come per magia la musica torna al suo posto. Dov’è sempre stata. In paradiso. O giù di lì.

Non hanno idea però – gli Stone Roses – con quale canzone aprire il concerto della Reunion. O forse lo sanno ma fanno finta di non saperlo. Alla fine decidono di cantare come primo pezzo lo stesso che apriva il loro album d’esordio. Il pezzo si chiama I Wanna Be Adored.

Una manciata di strofe ripetute fino alla nausea. La canzone dice: “Non ho bisogno di vendere la mia anima. Voglio solo essere adorato.” Diventerà leggendaria.

Ma c’è di più. Un’altra connessione. Incredibile. E dire che l’ho scoperta per caso proprio mentre stato scrivendo questo post.

Nel 1997 il regista Michael Winterbottom girò il film Welcome to Sarajevo, ambientato proprio ai tempi della guerra in Bosnia/Erzegovina. E vuoi sapere quale canzone finì nella colonna sonora?

Indovinato! I wanna be adored.

Strano. Intuitivo. Magico. 

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Video #1 - “I Wanna Be Adored” cantata a squarciagola da 75.000 fans in delirio nel corso del Reunion Tour (Heaton Park, Manchester)

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Video #2 - Il Trailer di Made of Stone, chiacchierato documentario sull’epopea musicale degli Stone Roses girato da Shane Meadows, già regista del film cult This Is England (se non lo hai visto è solo un tuo problema)

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# Il lago che trasforma gli animali in pietra

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Gli animali pietrificati del Lago Natron


Animale Pietrificato

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Mi piace chiudere questo post dedicato alle pietre e alle ferite con alcune immagini che in breve tempo sono diventate terribilmente virali in rete. 

Parliamo di un lago. Il Lago Natron, per la precisione. Si trova in Tanzania. E’ un lago le cui acque sono caratterizzate da un’alta concentrazione di sodio che proprio per questo le rende decisamente viscose. Infatti “Natron” non è altro il carbonato idrato di sodio, un sale minerale che anticamente veniva usato per imbalsamare le mummie.

Detta così, sembrerebbe di parlare di un lago assassino.

E infatti lo è. [Sicurocerto] (neologismo coniato nel corso di una conversazione su Twitter con Cristiana Tumedei incentrata sui battesimi vodoo). 

Nessun animale, infatti, può sopravvivere alle sue acque “letali” (eccezion fatta per i fenicotteri e per alcune specie di pesci che nel corso degli anni si sono modificate geneticamente per adattarsi all’alta concentrazione di natron).

In altre parole, i sali contenuti nel lago trasformano in pietra qualsiasi animale entri in contatto con l’acqua, calcificandolo. 

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Gli animali pietrificati del Lago Natron


Animale Pietrificato

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Gli scatti che trovi in questo post sono di Nick Brandt, che si è “divertito” a raccogliere sulla riva alcuni animali pietrificati per poi metterli in posa e fotografarli.

Lui stesso dice: “Non ho potuto fare a meno di fotografarli. Nessuno sa per certo esattamente come muoiono, ma sembra che la natura estremamente riflessiva della superficie delle acque li confonda. Così, come gli uccelli si schiantano contro vetrate, loro precipitano nel lago.

Le immagini che trovi nel post fanno parte del libro Across the Ravaged Land dello stesso Nick. 

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# E tu?

Eccoci qua. Siamo partiti dalle [pietre] e abbiamo connesso [letteratura] [fotografia] [pittura] [musica]. Strano, intuitivo, magico.

Ora però tocca a te, caro sempreLettore. Voglio sapere cosa ne pensi. 

Hai letto “Come se Mangiassi Pietre”? Ne avevi mai sentito parlare? Avresti anche tu un libro da consigliare sul tema della guerra, qualcosa che sia a metà tra cronaca, reportage e fiction?

E cosa ti trasmette una tela tagliata? Quando la osservi pensi anche tu “potevo farlo anch’io” o invece te ne resti in silenzio a interrogarti sui misteri della mente umana?

Hai dato un’occhiata al reportage fotografico di Giuliano Camarda? Ti ha colpito? Oppure ti eri perso per strada la musica degli Stone Roses e ora mi stai giusto ringraziando per averteli fatti conoscere?

Quale che sia la tua risposta:

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  • Canta a squarciagola “Sono un italiano” di Toto Cutugno. Basta che fai qualcosa, insomma. Qualsiasi cosa. Il silenzio e l’immobilismo mi distruggono. Mi fanno sentire inadeguato come Hannibal Lecter a una fiera sullo slow-food.

Hasta la parola, siempre!

Tag:Arte, Bosnia, Brit Pop, Fotografia, Giuliano Camarda, Herzegovina, keller, Lago Natron, Letteratura, Libri, lucio fontana, movimento spazialista, Nick Brandt, Stone Roses, Wojciech Tochman


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