Come se nulla fosse successo, primo libro dello scrittore genovese Davide Corongiu, una storia che unisce i toni del poliziesco con quelli più intimi del romanzo psicologico, animata da personaggi singolari e ambiguamente contraddittori.
Estate 1990. Mentre l’Italia intera, stregata davanti ai televisori, vede il sogno mondiale svanire, Hanne Ljumberg, 4 anni, figlia di una coppia di tedeschi in vacanza a Santa Margherita Ligure, scompare senza lasciare traccia. In uno di quei giorni, l’ispettore Fabrizio Santamaria, impegnato nella risoluzione del caso, viene destituito e torna a casa affranto, disperato. Nella buca della posta trova tre lettere. Un paio d’ore più tardi si decide ad aprirle. Dopo averle lette non ha esitazioni. Impugna la pistola di ordinanza e si toglie la vita. Dietro di sè lascia Garrincha, il suo cane, e un registratore con due musicassette sovraincise recanti non solo i risultati delle indagini ma molto di più.
Accanto al serrato ritmo delle indagini viene scandagliato ‘animo amaro di chi in partenza non aveva nulla da perdere e si rende conto che la vita può far perdere tutto, in un bozzetto paesaggistico di una Liguria velatamente malinconica.
Davide Corongiu è nato a Genova ma vive a Milano. Gli mancano il mare e la focaccia con le cipolle e odia il clima del lombardoveneto. Ha lavorato nella cooperazione internazionale con missioni in Africa australe e sud-est asiatico prima di trasferirsi a Lisbona, dove ha vissuto 4 anni frequentando anche corsi di scrittura creativa.
Breve estratto dal libro
L’uomo percorreva silenziosamente la via pedonale in ciottolato. Dalle case ai lati solo alcune luci degli amanti delle ore piccole. La cittadina si stava preparando al sonno e per questo era necessario essere ancora più silenziosi, pensò l’uomo tra sè e sè. Rimanevano solo poche centinaia di metri all’automobile e la bambina che teneva in braccio sembrava dormire. L’uomo si sentì confortato. Poi all’improvviso il sangue gli si raggelò. Un gruppo di persone era appena spuntato da una stradina laterale e si approssimava a lui. Che fare? Ingoiò la saliva, aggiustò il peso della bambina sul braccio destro e continuò il cammino a viso basso. Cinquanta metri. Venti. Cinque. Sono passati. Trattenne il respiro ancora per qualche secondo. Niente. Perfetto, pensò tra sè e sè quando ormai l’automobile si intravedeva già in fondo alla via.
La macchina, una FIAT Ritmo color blu scuro, avanzava con i soli fari di posizione accesi. Era un’abitudine dell’uomo che non aveva mai compreso la ragione di dover azionare gli anabbaglianti in zone provviste di illuminazione pubblica. Poche luci rischiaravano il percorso ma al guidatore questo non importava. La strada era breve ed era importante non essere notati. La bambina giaceva sdraiata sul sedile posteriore dell’automobile e il sonno in cui sembrava avvolta poteva indurre in errore chiunque. Chiunque meno l’uomo alla guida. Strozzò un pianto in gola non appena distolse gli occhi dallo specchietto retrovisore, aggiustato in modo tale da poter vedere il corpo esanime della piccola l’uomo parcheggiò la Ritmo blu sul selciato antistante alla chiesa. Prese per l’ultima volta in braccio la bambina e si portò di fronte all’ingresso dell’edificio
All’interno della sacrestia padre Paolo dormiva già da diverse ore. Nonostante la stanchezza, il suo sonno era sempre stato leggero. Per questo non ebbe difficoltà nel sentire i battiti che giungevano amplificati dalla navata centrale. Pensò dapprima a uno scherzo di cattivo gusto. I ragazzini, in festa da scuola, uscivano tutte le sere, un po’ per combattere il caldo stagionale ma soprattutto per appagare la sete di divertimento. Potevano solamente essere loro, disse tra sè e sè, mentre in vestaglia copriva gli ultimi metri della navata principale. Il suo stupore nel vedere l’uomo con la bambina al collo fu totale. Gli fece cenno di entrare e sedersi al lato della navata. L’uomo compì i pochi passi che lo separavano dal bancale di legno con estrema lentezza e distese il corpo della piccola. Poi, risollevandosi nuovamente, cercò con lo sguardo il parroco. Gli si approssimò e chiese a stento di essere confessato. Padre Paolo si rese subito conto che quella sarebbe stata la confessione più complicata della sua vita.