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Come si dice dalle mie parti (un discorsétto carpigiano)

Creato il 26 marzo 2012 da Fabriziogabrielli
(domenica 25 marzo abbiamo presentato Prospektiva, il nuovo numero, il cinquantaquattresimo, allo Spazio Meme, a Carpi, un posto che se ci capiti, a Carpi, oltre al Museo Monumento al Deportato, dovresti assolutamente passarci, allo Spazio Meme, a fare una visita. Ho fatto un discorsetto, una ròba che a Carpi va di moda fare: è qua di seguito. Un po' lungo, ma tant'è, come si dice dalle mie parti)
Ciao, buonasera a tutti, mi chiamo Fabrizio, Gabrielli di cognome, e per prima cosa mi viene di scusarmi per non andare a braccio e leggere tutto il mio intervento, che durerà con tutte le letture, una mezz'ora, minuto più, come si dice, minuto meno: l'imbarazzo credetemi è tanto, ma c'è che sono sotto trasloco e mi capita di dimenticarmi le ròbe, ho una vita un po' inciafrojata, come si dice dalle mie parti, non vogliatemi male, se potete.Colgo poi l'occasione - che bello il verbo cogliere, è molto primaverile - colgo l'occasione, dicevo, come fosse una ciliegia, per ringraziare lo Spazio Meme, e Luca Zirondoli, e tutti gli amici di Carpi per avermi accolto qua oggi, in via Giordano Bruno, con la primavera di fuori e i verbi cogliere e ac-cogliere in bella mostra. In. Bella. Mostra. Che detto allo Spazio Meme, insomma, è come parlare di corda a casa dell'impiccato, proverbio che dalle mie parti viene declinato tipo rubbà a casa del ladro.  Di Carpi non so molte cose, a parte che ci sono i fagliaroni, che la piazzetta qua è tutt'altro che -etta, una storiella buffa su dei giapponesi che si sono impicciati con il gprs; e poi che fa sempre freddo, come a San Pietroburgo, ma mi sa che ho una visione distorta. Deve dipendere dal fatto che l'ultima volta che ci son stato, a Carpi, mica a San Pietroburgo, ch'era luglio, al Coccobèllo - uno si poteva aspettare una situazione di afa e zanzare e ciappolette, si dice così infradito dalle mie parti, ciappolette, e invece - faceva un freddo boia, quasi come, infatti: a Carpi, come si dice dalle mie parti, un freddo carpigiano.Ora: vorrei parlarvi un po' di Prospektiva, perché fin quando non verrò sollevato dall'incarico sono il direttore editoriale, di Prospektiva, ch'è una rivista letteraria nata, matupènsa, nel 1999. Voialtri non lo so cosa facevate nel 99, sono un fracco d'anni fa, se ci fate caso: io facevo il rap, per dire. Prospektiva, dicevo, è nata nel 99 a Siena da Andrea Giannasi e altre genti, l'han chiamata come quei lungoNeva che stanno a San Pietroburgo.Prospektiva, in quegli anni, quelli in cui è nata, l'han chiamata come un lungoNeva perché ci somigliava un po', alla Neva, non so se avete presente: era lugubre, torbida, discretamente decadente e trasportava un sacco di monnézza.E insomma quando nel 2009 Giannasi m'ha proposto d'entrare in redazione con altre genti altamente stimabili, tipo Sauro Sandroni o Dario Falconi, e di dare una rivisitata ai contenuti e al contenente, m'è venuto da dire subito fuckyeah. E vi spiego perché.Prospektiva pativa d'un male che potremmo definire ombelicalità patologica.Era diventata, specie negli ultimi tempi, un ricettacolo di testi slegati, un coacervo di scritti affastellati senza collante, una mazzumaja, come si dice dalle mie parti per definire una cassetta di paranza, di pezzi incollocabili altrove - spesso a firma di autori del catalogo di ProspettivaEditrice - una sorta di estensioni di Hero Quest, se siete abbastanza anniottanta per cogliere la similitudine.Bisognava, nelle nostre intenzioni, nostre intendo della nouvelle vague, fare quello che ci si aspetta da una rivista letteraria, per come la vedo io - presentarsi come laboratorio d'analisi sterilizzato e apregiudizievole, ma soprattutto dare ospitalità a testi che performassero una coralità variegata.Abbiamo cominciato a darci un tema e soprattutto a cestinare tutte quelle ròbe che c'arrivavano come i cessi che scorrono giù per la Neva - vi invio il mio contributo per il nuovo concorso, sono un esordiente e mi piacerebbe vedere pubblicato questo; abbiamo steso delle guidelines, se mi passate il termine, puntuali e rigide. E ci siam messi di buzzo buono, come si dice dalle mie parti, anche a fare dello scouting, se mi passate il termine, che poi è un'altra ròba che le redazioni delle riviste letterarie dovrebbero fare, invece di limitarsi a sbattersi per un pezzo del grossonòme. Cercavamo penne che ci piacessero, c'immaginavamo come avrebbero pronunciato la parola Prospektiva e in base alla sensazione che ne scaturiva sceglievamo se sì oppure no. Vabbè, non proprio così. Però ci muovevamo molto sul web, per fare questo scouting. 
Qualcuno ci ha accusati di essere un'associazione lobbystica, di pubblicare solo amici nostri, e un po' avevano ragione, perché molti degli scrittori che abbiamo accolto, e che accoglieremo, sono di quelli che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che fossero tuoi amici per la pelle e poterli chiamare al telefono tutte le volte che ti gira, anche per invitarli al numero successivo, se mi passate la citazione. (che poi è una ròba che feisbuc, se ci pensate, ha reso massimamente possibile, bònapàce, come si dice dalle mie parti, del giovane Holden). 
Abbiam fatto quattro o cinque numeri con questo modus operandi, se mi passate il termine, Diversità, Nausea, Vertigine, Follia, più un numero celebrativo, il Cinquanta. Che son tanti, cinquanta numeri, secondo me. 
E poi, non lo so se è una ròba di cui vantarsi o no, ma a ridosso del numero 52, quindi a gennaio dell'anno scorso, abbiamo deciso di radicalizzarci ancora un po'. Con la Traversata, e con l'ingresso nel team di Cosimo Lorenzo Pancini, abbiamo deciso di creare un oggetto letterario che fosse per prima cosa un oggetto tangibile, godibile, fruibile, fichibile. Abbiamo scelto di limitare la tiratura a 199 copie, abbiamo deciso di farle tutte a mano e tutte - laddove possibile - belle. Quel numero era impacchettato come fosse un plico postale transatlantico. Dentro c'abbiam messo dei racconti che ci piacevano molto, e dei resoconti di viaggio di immigrati che lasciavano l'Europa per il Sudamerica. C'era anche un racconto di Gianni Solla. Faceva così: 
(qua Luca Zirondoli ha letto il Burned Children of Naples di Gianni Solla) 
Finchè ad un certo punto: Houston, abbiamo un problema. Avoja, come si dice dalle mie parti, se ce l'abbiamo avuto, un problema, dopo il 52. Le librerie, una ròba così, non la vendono mica, e sapete perché? Perché l'acquirente non può sfogliarle prima, dicono. Perché non possiamo mica vendere una ròba a scatola chiusa, dicono. C'han detto così, le librerie. Anche quelle Feltrinelli che prima costituivano il grosso della distribuzione.E allora, come si dice dalle mie parti, abbiamo optato per la mozione sticazzi. Che qua credo si dica stocazzo, ma non l'ho mai capita bene, la differenza dell'espressione fuori da Roma. 
E abbiamo davvero realizzato, per come la vediamo noi, l'obiettivo che ci eravamo prefissati: creare una rivista che fosse brillante, oltre che nei contenuti, cosa della quale non abbiamo mai dubitato, anche nel contenitore. SPECIE nel contenitore. Ci piaceva, e continua a piacerci, l'idea che il lettore, il seguace, il sostenitore di Prospektiva sia consapevole che ognuna delle 199 copie, quella che c'ha sul comodino, è frutto d'un lavoro che è dapprima intellettuale e internetticamente smanettone, lo scouting e la stesura del layout grafico e tutteccòse, e poi, in un secondo tempo, squisitamente artigianale. E per sottolineare questo aspetto abbiamo deciso di continuare a includere, puntandoci massicciamente, vieppiù, dei divertissementi, delle appendici, dei panfletti aggiuntivi, delle spilline, dei cotillons, ròbe che sul web ma come fai?, affinché fosse chiaro che leggere, e leggere una rivista, fosse rompere gli argini dell'abituale, sconfinare nei campi del gioco, addentrarsi in un reticolo di finzioni, generare sorpresa. Le riviste letterarie, per noialtri, questo dovrebbero fare: dell'edutainment. 
Restava solo da farlo capire ai lettori, mica facile: hai detto cotica, come si dice dalle mie parti. Il numero 53, allora, c'è capitato a fagiuolo: si da il caso che volevamo fosse trasparente la nostra presa di posizione. E si da il caso che l'ospite del Salone del Libro di Torino, dove avremmo presentato il nuovo numero della rivista, fosse la Russia. Ci siam detti, in redazione: cosa ci viene in mente, se pensiamo alla Russia?Qualcuno ha detto: i gulag. Qualcun altro: il gulash. (Quello è ungherese, l'abbiamo ripreso. E infatti lo magiaro sempre, quand'ero a Budapest, ha risposto lui, come si dice dalle mie parti, con una battuta di spirito di patata.) Perestroijka. Glasnost'. Ecco, Glasonst' ci piaceva molto. Trasparenza. Ah, la polisemia. Poi stai a vedere che dovesse significare proprio QUELLA TRASPARENZA. Per far contenti un po' tutti, pe dà un carcio ar cerchio e uno aa botte, come si dice dalle mie parti, l'abbiam messa, la rivista, in una vaschetta da supermercato, coi gadgettini e tutteccòse che dicevo prima. Dentro c'era un bel racconto di Marco Manicardi. Che ora ve lo legge, se je regge a brocca, come si dice dalle mie parti.
(Qua Marco Manicardi, che j'haa retto aa brocca, l'ha letto) 
Ed èccoci al numero 54, l'ultimo. Ch'è stata una ròba complicata, portarlo a compimento. Anzi no. Anzi sì. Bugia? Verità? 
Il numero 54 l'abbiamo intitolato al Falso. Alla menzogna. Alla, come si dice dalle mie parti, bucija. Che poi studiarne l'etimo, di bugia, se ne scoprono delle belle, come c'è scritto sul colophon. Viene dall'a.t.a. Bose: significa cattivo, guasto. Se stavate pensando di rifarvi l'impianto audio di casa, insomma.Oppure c'è chi ne individua le radici in BIGIAIA, città d'Africa celebre per la produzione di cera, che si scioglie e svanisce proprio come la verità, se ci pensate. Che prima, infatti, cera. E adesso non ce più. Falso. C'è ancora.In questo numero ci sono due volumi, uno son storie così vere che sembrano false, l'altro storie così false che sembrano vere, è tutt'un pastiche, un pasticcio, anche la copertina sembra uguale, e invece una è la copia dell'altra, Rembrandt che copia Hubborn che copia Rembrandt, mica ci si capisce tanto.Dentro ci son racconti bellissimi, anche di Adrian Bravi o Andrea Meregalli o Benedetta Torchia o Giulia Frattini o Azael. 
E a proposito di scouting, di genti brave che scrivono sulla internet, e fuori dalla internet, poi, ci siamo accaparrati anche tre racconti dei quali vado particolarmente fiero. Uno è di H. Miller, che magari però non è proprio quell'H. Miller. Uno di DFW. Ma magari neppure lui è proprio quel D.F. Wallace. E uno, a conti fatti, l'unico vero veramente di Elena Marinelli. Che poi verità, che parola dal suono strano.  
(e qua abbiam letto, in tandem, Elena Marinelli e io, ah, il readingelli) 
Siamo in dirittura d'arrivo, non lo so se con questo discorso - certo, venire a fare i discorsi a Carpi, come dire annà a Rubbà a casa del ladro - v'ho convinto almeno un po' sulla bontà del progetto, o se è stato un po' come si dice dalle mie parti avoja a predicà predicatò, tanto a messa nun ce veengoo. Noialtri sì, siamo molto convinti: continueremo a fare le nostre belle 199 copie, continueremo a non distribuirle nelle librerie con la puzza sotto il naso e soprattutto a girare ancora, come già stiamo facendo da un pezzo, con gli autori e fare delle gran letture a voce alta, che è sempre edutainment, e venderle, e venderci, ai passanti, ai consumatori abituali e a quelli estemporanei. Incontrarci e una volta insieme discutere delle ròbe di scrivere e di leggere, che poi è un'altra ròba che dovrebbero fare le riviste letterarie, creare dialogo critico. 
E' questo il motore che ci spinge a proseguire, a concepire i nuovi numeri.Che impacchetteremo rigorosamente a mano. Una mezz'oretta per numero, ci mettiamo, quasi quanto la durata di questo discorso. Se non ci credete, venite a darci una mano a inscatolare la prossima Prospektiva. Siamo a Civitavecchia, in Via Terme di Traiano 125. Siamo quelli mascherati da marmotta, quelli che i problemi li esorcizzano con la formula otteeennoove, come si dice dalle mie parti. Quelli con un sorriso grosso così.

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