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Come si diventa genitori empatici

Da Quipsicologia @Quipsicologia

Vediamo come si diventa genitori empatici seguendo le linee guida del dott. John Gottman.

genitori empatici
Si perché quando come genitori cerchiamo di comprendere l’esperienza dei nostri  figli attraverso l’empatia, essi si sentono sostenuti da noi. Sanno che stiamo dalla loro parte. Quando evitiamo di criticarli svalorizzando le loro emozioni o cerchiamo di distoglierli dai loro reali obiettivi, ecco che permettono di entrare nel loro mondo. Ci dicono come si sentono. Si confidano. Ci offrono le loro idee. Anche le loro motivazioni diventano per noi meno indecifrabili  e questo a sua volta conduce ad un’ulteriore comprensione. In poche parole i nostri figli cominciano a fidarsi di noi e quando il conflitto si accende avremo sicuramente più terreno in comune a disposizione per risolvere insieme il problema.

Veniamo allora alle cinque fasi che i genitori possono percorrere per costruire l’empatia con i loro figli:

Fase 1: Diventare consapevoli dell’emozione del bambino

I genitori consapevoli delle proprie emozioni possono utilizzare questa sensibilità per sintonizzarsi sulle emozioni dei figli. Questo naturalmente non è sempre facile perché spesso i bambini, così come i ragazzi, esprimono le loro emozioni indirettamente e con modalità che lasciano gli adulti disorientati.  Se però ascoltiamo attentamente, con animo aperto, potremo spesso decodificare il messaggio che i nostri figli, inconsciamente, nascondono nel modo in cui interagiscono, nel gioco, nel comportamento di ogni giorno.

Il punto è che i bambini, come tutti del resto, hanno ragioni precise per le loro emozioni, sebbene spesso non siano in grado di comunicarle verbalmente. Quando ci accorgiamo che i nostri figli si arrabbiano o sono inquieti riguardo ad una questione per noi magari irrilevante, forse può essere utile fare un passo indietro e sforzarsi di vedere il mondo dal loro punto di vista. Quando vi accorgete di provare quello che prova vostro figlio, ecco che state provando l’empatia. Per esempio un bambino di 3 anni non può dirvi: “Mamma, mi dispiace di essere stato così capriccioso ultimamente, ma la nascita del fratellino mi ha davvero stressato”. Allo stesso modo un ragazzo di 9 anni probabilmente non vi dirà: “ Mi sento così agitato quando tu e papà discutete e litigate”, ma forse è proprio quello che prova.

Fase 2: Riconoscere in quell’emozione un’opportunità di intimità e di insegnamento

Sia che si tratti di un giocattolo che si è rotto, di un esame andato male o di un litigio con il miglior amico, le esperienze negative possono costruire una straordinaria opportunità per empatizzare, costruire intimità con i nostri figli e insegnare loro come fare a padroneggiare i sentimenti. Un figlio ha bisogno del genitore specialmente quando è scoraggiato o arrabbiato o spaventato. La capacità di aiutare a rilassarsi un bambino agitato può essere quel che ci fa sentire veramente genitori. Riconoscendo le emozioni dei figli li aiutiamo ad acquisire delle tecniche per calmarsi da soli, capacità che saranno loro utili poi per tutta la vita.

Molti genitori invece pensano che solo ignorando le emozioni negative dei figli esse spariranno da sole. In realtà però questo non accade. Al contrario le emozioni negative si dissolvono quando i bambini possono affrontarle parlandone, dando loro un nome e sentendosi di conseguenza compresi.

Se esprimete interesse e preoccupazione per quel giocattolo rotto o per quella litigata con l’amico del cuore, queste esperienze costituiranno per vostro figlio un materiale solido su cui costruire. Egli imparerà che siete un suo alleato e che entrambi potete collaborare, anche durante  le crisi più difficili.

Fase 3: Ascoltare con empatia e convalidare i sentimenti del bambino

Ascoltare in questo caso significa molto più che una semplice raccolta dei dati che ci giungono attraverso le orecchie. I genitori empatici utilizzano gli occhi per intuire le prove fisiche delle emozioni dei bambini. Utilizzano l’immaginazione per vedere la situazione nella prospettiva del figlio. Usano le parole per riflettere, in modo rilassato e non critico su quel che hanno ascoltato e per aiutare il bambino a dare un nome alle loro emozioni. E, cosa più importante, usano i loro cuori per sentire quel che i loro figli sentono.

Mentre vostro figlio rivela le sue emozioni, riflettete su quello che state sentendo e non vi lasciate sfuggire  nulla. Ciò tranquillizzerà vostro figlio che lo state ascoltando con attenzione e che pensate che i suoi sentimenti siano legittimi.

Per esempio quando vostro figlio è in un momento di tensione emotiva, tenete conto del fatto che  condividere con lui semplici osservazioni (per es.: “Vedo che sei…”, “Ho notato che hai…”, “Sento che tu…”) solitamente è meglio che sottoporlo a molte domande, a cui lui probabilmente non sa dare una risposta (per es. “Perché ti senti triste?”).  E’ meglio invece riflettere su ciò che avete osservato tipo: “Ho notato che hai sbuffato quando ho nominato l’esame”, oppure “Sembri un po’ giù oggi” e aspettare una sua replica.

Fase 4: Aiutare il bambino a trovare le parole per definire le emozioni che sta provando

Fornire ai figli le parole può aiutarli a trasformare una sensazione amorfa, sgradevole, terrificante in qualcosa di definibile e quindi con confini ben precisi. Dare un nome alle emozioni va di pari passo con l’empatia. Un genitore vede un figlio in lacrime e dice: “Ti senti triste, vero?”. Ora il bambino non solo si sente compreso, ma ha anche una parola per definire il suo stato emotivo.

Questo naturalmente non significa suggerire ai bambini quel che dovrebbero sentire. Significa molto semplicemente aiutarli a sviluppare un vocabolario con cui esprimere le loro emozioni.

Fase 5: Porre dei limiti, mentre si esplorano le strategie per risolvere il problema in questione

Dopo aver passato del tempo ad ascoltare vostro figlio e ad averlo aiutato a dare un nome e comprendere le sue emozioni, vi troverete indotti ad intraprendere un processo di soluzione del problema.

La risoluzione dei problemi inizia spesso con il genitore che pone dei limiti a un comportamento inopportuno.  E’ importante che i bambini capiscano che il problema non è nei sentimenti, ma nei comportamenti: quindi tutti i sentimenti e tutti i desideri sono accettabili, ma non tutti i comportamenti lo sono. Se diciamo ad un bambino che ha ragione a provare quel che prova, ma ci sono modi migliori per esprimere questi sentimenti, gli lasciamo intatti il suo carattere e la sua stima di sé. Allo stesso tempo gli facciamo sapere che ha la comprensione di un adulto dalla sua parte il quale lo aiuterà a trovare una soluzione e a non sentirsi vinto dalle circostanze.

Dopo aver posto dei limiti, il genitore può fare un altro passo mettendo in luce degli obiettivi nella risoluzione dei problemi. Questo si può fare chiedendo per esempio al bambino che cosa vorrebbe ottenere riguardo al problema in questione.  Spesso la risposta è semplice: aggiustare un giocattolo che si è rotto, risolvere un compito particolarmente complesso. Altre situazioni magari sollecitano chiarimenti ulteriori: dopo aver avuto un bisticcio fisico con la sorella, vostra figlia potrebbe cercare di stabilire se è meglio cercare di ottenere vendetta o cercare di trovare un modo per evitare futuri conflitti. Altre volte potrà succedere che non ci siano soluzioni in vista: il cagnolino di vostro figlio è stato investito, il suo miglior amico cambia città, ecc… L’obbiettivo in questi casi può essere semplicemente riuscire ad accettare la perdita o trovare un conforto.

E’ importante cooperare con i vostri figli per elaborare delle opzioni che riescano a risolvere i problemi.  Basta fare attenzione a non essere troppo pressanti nel vostro intervento. Piuttosto incoraggiate vostro figlio a generare da solo le sue idee.   

  

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