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Come si inizia a #fare un evento culturale?

Creato il 25 marzo 2015 da Sdemetz @stedem

eventi culturali - sensible event management

Alcune settimane fa sono stata alla presentazione di un libro – curato da Francesco De Biase – che mi ha subito affascinato per il suo titolo: I pubblici della cultura.

È una raccolta di saggi che analizza il tema sempre più importante dei pubblici culturali e dell’audience development. Francsco Crisci,  é autore di uno studio su questo tema (la sua biografia si trova in fondo a questo post) e il suo intervento mi è piaciuto molto perché ha parlato del design delle organizzazioni culturali. E così è stato che gli ho chiesto un contributo per il blog. Ora, le mie domande erano tante e i temi abbastanza tosti e lui mi ha inviato delle risposte davvero stimolanti. I temi riguardano i festival culturali italiani, il management, il tema dell’esperienza e della mediazione emozionale.

Con questo post parto con la prima delle domande. Sarà, come dire, una chiacchierata a puntate in cui entreremo negli argomenti a me più cari: la gestione, il tema che ho coniato come #SensibleExperienceScape, la cultura negli eventi e così via.

Buona lettura.

I festival culturali: un tema sul quanto o sul come?

Domanda: L’Italia è un paese molto ricco di eventi culturali, basti pensare ai tanti festival che attirano migliaia di persone. C’è tuttavia chi dice che questi eventi siano troppi e spesso inutili, perché di fatto non aumentano il “consumo di cultura” (acquisto di più libri, più visite ai musei e così via). Qual è la tua opinione a tal proposito?

Questione complicata quella che mi poni, da affrontare chiarendo bene la natura del problema: e se la questione fosse la definizione e la valutazione delle politiche culturali e delle pratiche effettivamente messe in atto dalle organizzazioni culturali per realizzarle, tutte cose di cui in Italia si parla pochissimo e male?

Partiamo da questo aspetto: per quali motivi e sulla base di quali dati e informazioni, rappresentazioni o prassi è possibile effettuare un giudizio sulla quantità e qualità degli eventi culturali?

E nel caso in cui fosse un policy maker (ad es. un assessore regionale) ad aspettarsi determinati rapporti di causa-effetto o a voler prendere in considerazione indicatori di performance più o meno bizzarri (es.: collegare “eventi culturali e acquisto di libri”), in quale veste e con quali strumenti sarebbe chiamato a questo tipo di valutazioni?

Ci sono politiche e politiche …

Primo punto. Quando si discute di “politiche culturali” tendiamo un po’ tutti a confonderle con le “politiche amministrative per la cultura” ma non sono la stessa cosa, in quanto queste ultime riguardano le procedure, ad esempio, per l’accesso ai finanziamenti pubblici o i sistemi di regolamentazione per l’utilizzo di tali finanziamenti.

In una logica manageriale, invece, la questione delle politiche culturali ha anche e soprattutto a che vedere con la gestione della catena logica “obiettivi-risorse-azioni-risultati” (e solo poi, con la valutazione, individuando opportuni indicatori di performance), ragionamento imprescindibile se si vuol valutare in modo serio gli attori della cultura.

La retorica che confonde

Secondo aspetto. Il policy maker chiamato a “rendere conto” di decisioni pubbliche (gli anglosassoni racchiudono il concetto stesso di “responsabilizzazione” nell’espressione accountability) dovrebbe esplicitare in modo trasparente il collegamento tra obiettivi e risultati, mentre la “cattiva retorica” dominante in questi anni porta a semplificare tutto: partendo da improbabili indicatori di performance si finisce col descrivere in modo eterodiretto il raggiungimento di obiettivi mai esplicitati.

Non si tratta di questioni tanto peregrine in quanto un approccio superficiale alla faccenda produce effetti pratici piuttosto perversi. Faccio un esempio concreto.

Case History: un progetto di riforma

Qualche anno fa il mio gruppo di ricerca è stato chiamato dalla Direzione Cultura della regione a lavorare alla riforma del sistema di finanziamento pubblico alla cultura, a partire dallo spettacolo dal vivo (giusto una nota: le regioni sono piuttosto interessate a regolamentare lo spettacolo dal vivo in quanto le attività culturali sono materia legislativa concorrente tra Stato e Regioni, mentre non sempre sono altrettanto attente ai beni culturali).

L’importante é come fare la torta

Dopo aver ricostruito il meccanismo del finanziamento regionale, la prima vera questione da affrontare per inquadrare l’intervento in modo corretto è stata di far comprendere alle parti coinvolte nel processo di riforma (organizzazioni artistiche, Direzione Cultura e Governo regionale) quale fosse la “vera natura” del problema:

  • non si trattava semplicemente di rivedere l’amministrazione della norma (le procedure operative per l’accesso ai finanziamenti regionali e per la ripartizione dei fondi alle organizzazioni artistiche);
  • ma di disegnare una architettura istituzionale trasparente che definisse in modo efficace il processo di formazione del budget regionale alla cultura

(quindi come si forma la torta da distribuire e non come assegnare le fettine di una torta già sfornata e con le fettine tagliate con criteri in ogni caso irragionevoli).

Inoltre, avevamo suggerito di non avviare una riforma di questa natura senza prima aver raccolto dati e informazioni sul sistema dello spettacolo dal vivo “in funzionamento”, tutto ciò per indirizzare in modo “cosciente” e “condiviso” il percorso stesso della riforma.

Alla vigilia della riforma avevamo predisposto anche uno strumento tecnico che andava in tale direzione: per circa tre anni avevamo lavorato alla creazione di una struttura per la raccolta di dati condivisa tra organizzazioni dello spettacolo, Regioni e Ministero, collaborando ad un progetto per una rete di Osservatori della Cultura regionali.

Le organizzazioni artistiche e la Direzione Cultura della regione compresero subito la portata della proposta, ma Governo (assessorato) e Consiglio regionale (in quanto legislatore) non reagirono con altrettanto entusiasmo (sic!).

Nel 2014 è stata approvata una legge di riforma del settore delle c.d. “attività teatrali”: sebbene piuttosto diversa dall’architettura che avevamo proposto ai tecnici regionali, essa prevede, tra le altre cose, la stesura di un Documento di Politica Culturale triennale; mentre l’Osservatorio regionale era diventato non già strumento di accompagnamento della riforma, ma oggetto della stessa. Al momento l’Osservatorio non è operativo e non v’è traccia del Documento di Politica Culturale attraverso cui dovrebbe essere possibile valutare in modo trasparente la congruità tra gli obiettivi che il sistema regionale dello spettacolo dal vivo si pone e le risorse effettivamente messe a disposizione per il raggiungimento dei risultati.

I dati prima di tutto

Il processo di riforma è molto più articolato, ma in questo esempio emerge un aspetto che è molto comune in Italia: mancano in tutto o in parte informazioni basilari e attendibili sul fenomeno dell’intervento pubblico nella cultura; e la visione di “breve periodo” che caratterizza la politica può portare spesso ad alimentare “discorsi” di management della/sulla cultura piuttosto inconsistenti. Non si possono fare valutazioni sensate senza una cornice simile a quella che ho cercato di descrivere.

Un consiglio per approfondire

Nel caso in cui i tuoi lettori fossero interessati ad approfondire questo tipo di ragionamenti, propongo la lettura di una bella ricerca condotta da un gruppo di colleghi ed amici dell’Università di Bologna: mi riferisco al gruppo del GIOCA (Gestione e Innovazione delle Organizzazioni Culturali e Artistiche/Graduate degree in Innovation and Organization of Culture and the Arts), coordinato da Luca Zan. Il testo è questo: Le risorse per lo spettacolo, Il Mulino, 2009.

Biografia

Francesco Crisci è ricercatore e docente di Economia e Gestione delle Imprese presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Statistiche dell’Università di Udine. Nel 2005-2006 è stato research fellow al CRG-PREG dell’Ecole Polytechnique di Parigi. I suoi interessi di ricerca riguardano le organizzazioni knowledge intensive, in particolare le organizzazioni artistico-culturali (visual e performing arts) e science-based (ad esempio, nel settore delle life science e della biotecnologia), affrontando lo studio: dei processi produttivi e di “product design”; delle dinamiche dell’innovazione e del cambiamento organizzativo; dei processi strategici e di decision making/sensemaking; del comportamento del consumatore; delle implicazioni organizzative e strategiche della prospettiva knowledge-based (contatti: [email protected]; www.dies.uniud.it/crisci.html)

#staytuned

Nella prossima puntata parleremo di mediazione cognitiva e di esperienza dentro un festival culturale.


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