Stemma di Palazzo Mazzarino, Palermo
Mi è stato chiesto come si viva in Sicilia. E’ un’esperienza che mi accomunerà a moltissimi di voi.
E’ una domanda che è possibile fare candidamente, senza troppa partecipazione, un pour-parler, un blando intercalare quando langue la discussione; o viceversa, un interrogativo pieno di senso, una domanda tutt’altro che candida, indifferente e vacua ma interessata e partecipata. Che sia l’una o l’altra, io, in tale situazione dialogica, avrei dovuto fornire la risposta.
A chiedermelo era, com’è evidente, un non-Siciliano. Il contesto, un’antica casa di campagna ben collocata in alto sul suo ordinato uliveto e sicilianissima, a cui il mio ospite straniero di disinvolta eleganza aveva dato nuova vita, nel pieno rispetto dell’identità e della coerenza architettonica del luogo e della sua storia.
Ci sono dei contesti comunicativi in cui l’interlocutore si aspetta una risposta secca ed “orecchiabile” per poi passare al dessert ed altri in cui si dà vita ad una vera e propria propagazione di idee.
Per navigare a vista, ho risposto una cosa sul tempo (non meteorologico, non temete): una di quelle considerazioni che vanno sempre bene, come il buon vino non troppo deciso che avevo portato per la cena. Era una cosa del tipo: “Qui la scansione del tempo è diversa. Viviamo tempi infinitamente più lunghi che altrove. Questo è il modo in cui continuiamo ad essere seguaci dei Gattopardi, un credo che si reincarna sempre nuovo e vitale. Una silenziosa rivolta alla Storia”.
Ero soddisfatto della mia risposta. A primo acchito, niente da ridire. C’erano tutti gli elementi per lasciare intendere che “me ne intendessi”.
In effetti, Siciliano lo sono e questa risposta sarà apparsa forse autorevole quanto basta.
Parlo quindi di stranieri che visitano la Sicilia, se ne innamorano e si stanziano qui. Parlo dei vari flussi di presenze straniere dal Grand Tour ad oggi.
Ma… oggi? Chi sono questi eleganti uomini che mi stanno davanti? Chi sono questi stranieri di Sicilia che oggi cercano qui qualcosa di arcano che immaginano di poter distinguere nelle mie accomodanti risposte? Forse vogliono proseguire la storia dei Gattopardi, ripristinare quell’Arcadia che si è interrotta bruscamente lasciando una penosa eredità di campagne abbandonate, tristi masserie scalcinate, blasoni anneriti dal tempo di cui nessuno conserva il ricordo?
Forse gli eleganti signori coi quali discuto di Sicilia vorrebbero capire dove si è interrotta questa storia per poterla così proseguire? Come spiegare il rapporto che ciascun Siciliano ha verso la propria terra, tanto ambivalente e conflittuale, tanto passionale da essere spesso violento e crudele?
Per troppo amore si possono commettere grossi errori, allo stesso modo che per grandi mancanze. Come spiegare le contraddizioni della Sicilianità presente in ognuno di noi, la pulsione ad andare via e il desiderio di restare, trovar-si al di fuori dell’Isola e non sentire altro che il desiderio di tornare, che parole trovare per descrivere quel sangue caldo che contiene codici ancestrali e primitivi, un nobile sentire e grandi vergogne?
Come farò a rispondere davvero a questa domanda?
Questi eleganti signori francesi conoscono il Lungo Senna e i suoi disciplinati mercati settimanali, conoscono benissimo le nevrosi del jet-set internazionale, l’irrequietezza della vita mondana e le arie d’opera, forse in una parentesi pop dopo lo champagne e il brandy arriveranno probabilmente a confessarmi che conoscono il Bar Vitelli e hanno visto “Il Padrino”, ma continueranno a non sapere a quali leggi rispondano le lancette del tempo in Sicilia.
Come spiegare loro le frustrazioni dei Riformisti siciliani di ogni epoca quando si accorsero che quaggiù non avrebbero mai potuto sincronizzare i loro orologi, Louis Quinze o Rolex che fossero, con quelli di New York, Londra, Pechino, Milano, Roma o Napoli, perdendo ancora una volta la sfida con la Storia?
Come spiegare loro questa placida adesione ad un tempo mitico fatto di Lestrigoni, di Altrove straordinari, di donchisciottesche imprese, di grandi miserie frammiste a fulgidi splendori?
Non posso. Ammesso che si possa.
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