Che Hubble sia destinato alla pensione è cosa certa. E paradossalmente è causa esso stesso del suo futuro ritiro, o almeno del suo ridimensionamento.
In attesa del James Webb Telescope già si discute del futuro del futuro e tutto perché l’Hubble Space Telescope, frutto della cooperazione tra l’agenzia spaziale americana, la NASA, e l’Agenzia Spaziale Europeo, l’ESA, continua a mietere successi.
Oggi raccontiamo dei tre pianeti gassosi più aridi del previsto, come anche della più precisa mappatura della massa di un massiccio ammasso di galassie (inevitabile consonanza di termini – ndr), studi entrambi possibili grazie alle osservazioni dell’Hubble Space Telescope.
Grazie al telescopio spaziale Hubble e al fenomeno cosmico noto come lente gravitazionale forte, un team di astronomi, nell’ambito del programma osservativo di Hubble Frontier Fields, ha ottenuto la mappa della distribuzione di massa all’interno di MCS J0416.1-2403, un massiccio ammasso di galassie ben 160,000 miliardi di volte la massa del sole.
Nonostante le loro grandi masse, l’effetto degli ammassi di galassie sul l’ambiente circostante è abbastanza minimale. Nella maggior parte dei casi producono il cosiddetto effetto lensing debole. Ma quando l’ammasso è abbastanza grande e denso e l’oggetto da osservare si trova alla giusta distanza dall’ammasso, allora l’effetto lensing, in questo caso definito forte, produce ben altro risultato, trasformando le immagini delle galassie in archi o anelli luminosi, che si ripetono più volte all’interno della stessa immagine.
E’ grazie a questo effetto, visto intorno ai sei ammassi di galassie interessati dal programma Frontier Fields, che è stato possibile mappare la distribuzione di massa di MCS J0416.1-2403. “Anche se sappiano come mappare la massa di un ammasso utilizzando l’effetto della lente gravitazionale forte già da 20 anni, ci è voluto molto tempo per avere ottenere telescopi che potessero fare osservazioni sufficientemente profonde e dettagliate, da renderci possibile mappare un sistema complicato come MCS J0416.1-2403 “, dice Jean-Paul Kneib, membro del team.
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Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf