“ I figli crescono e le mamme imbiancano” cantavano Gino Latilla e Giorgio Consolini in “Tutte le mamme del mondo”, nel lontano 1954. Deo gratias, c’è rimedio se non altro alla capigliatura!
Nel primo anno di vita il pupetto cresce a vista d’occhio, muove i primi passi, azzanna di tutto,conosce ed esplora e i genitori si destreggiano in allenamenti continui per accudirlo, educarlo e salvaguardare l’ incolumità di tutti, poi precipitevolissimevolmente si cimenta in conquiste, progressi, delusioni, esperienze e i genitori arrancano dietro in una sorta di slalom, crescono e cambiano con lui, cercando di mantenere l’ equilibrio della coppia.
All’improvviso un evento induce il figlio a chiederti un completo, con giacca e cravatta. Ti compare davanti, e per la prima volta lo vedi diverso dinanzi a te: alto, ben piazzato, con quei capelli lunghi, ai quali concede di dare un abbozzo di forma dopo suppliche di mesi. A nulla valgono le esasperate ed esasperanti minacce parentali, ispirate a Dalila e Sansone, da attuare a tradimento nel suo placido sonno. Se non fosse per il viso quasi imberbe, per gli sbalzi d’umore e i picchi ormonali, gli daresti molti più anni e penseresti che sia apparso dal futuro il suo Avatar.
Fa effetto scoprire un figlio diciassettenne vestito prematuramente da homo, invece che col solito jeans e felpe informi. Sorprende. Non poco. Al mio “ Come ti senti?”, mi ha fissato con uno sguardo al contempo imbarazzato e compiaciuto. Lo stesso di quando a sei anni scoprì che la signora del filmino, con i capelli mossi e raccolti e l’abito da sposa, era sua madre. L’Avatar del mio passato. Strano come i figli a stento riescano a immaginare giovani i loro genitori. E sembrano lontane le contese, le litigate, i suoi atteggiamenti ora provocatori e scanzonati, ora dolcemente protettivi e possessivi, gli inevitabili compromessi che ci mettono alla prova nel divario generazionale e nei rispettivi ruoli.
Dopo due ore di preparativi e un’estenuante e sofistica discussione sulla lunghezza dei calzini, quantità di indumenti e l’occorrente per il viaggio con annesse e connesse valutazioni probabilistiche di ogni evenienza ,variazioni atmosferiche comprese, finalmente ha chiuso la valigia. Di conseguenza ho tirato un sospiro di sollievo, perché sono riuscita a fargli portare un paio di ciabatte nella speranza che abbandoni l’usanza della “Tribù dei piedi neri” di girare scalzo, perlomeno fuori casa. L’illusione è durata poco, perché si è lanciato alla ricerca della sua maglia preferita. Quella stinta che non mi piace ma a lui sì, e tanto. Era nervoso, preoccupato- a suo dire- dell’onda anomala ! E io che pensavo fosse il timore di questa sorta di iniziazione nel suo primo viaggio per mare, che potrebbe essere l’occasione per iniziare a capire se gli piacerà la strada intrapresa. Del resto è un viaggio di istruzione di soli nove giorni e sarà sicuramente in bella compagnia. Chissà che cosa intendeva per onda anomala e chissà se me lo dirà mai.
Mentre la vita corre su tanti fronti, i figli crescono ed è giusto che vadano incontro alla loro vita con la voglia e il più o meno celato timore di investire se stessi per scoprire questo mondo, al tempo stesso meraviglioso e dannato. A pelle intuisci che le loro perplessità sono anche le tue, nascoste dietro le solite, ammorbanti raccomandazioni. In fondo è bello vederli così, sospesi tra le acquisite certezze dell’infanzia e le incognite delle età successive. È tempo di seguirli a distanza con la mente e il cuore, di allungare sempre più quel cordone ombelicale finché non sarà reciso davvero. O forse sarà soltanto meno visibile e sentito.
Certo che la Mammitudine, tacciata di iperprotezione viscerale, marchia a fuoco dentro un tatuaggio indelebile e coesiste con quella trasmessa dai miei ansiosi e anacronistici caudilli (genitori), protagonisti e destinatari del sempiterno scontro generazionale. Quante volte leggo commenti e articoli di figli e di genitori, in un ruolo ribaltato a distanza di anni, nei quali si alternano la stessa insofferenza, le stesse intenzioni di non compiere gli stessi errori, di vivere e lasciare vivere. Sono talvolta tentativi di conciliazione con sé e con loro, dichiarazioni di affetto o rifiuto, accuse a lungo sopite o espresse, che non rinnegano, anzi sembrano riconoscere ancor più quel legame sottile e profondo, a prescindere dalle reciproche aspettative, difficoltà a non deluderle, senso di inadeguatezza e gratificazione.
“ Adesso come ti senti?” Qualche giorno fa ha preparato un’altra valigia per iniziare a vivere davvero la sua prima esperienza lavorativa per mare. Vedo ancora quella valigia, pesante e ben chiusa, come quella dei suoi nonni e di suo padre. Anche il passaporto, la sua giovinezza, il suo abbraccio.
In bocca al lupo, figlio mio, “ ‘A Maronn t’accumpagn” !
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