Jamie Ford
Sito: Jamie Forde
Titolo: Come un fiore ribelle
Autore: Jamie Forde
Serie: //
Edito da: Garzanti (Collana: Narratori Moderni)
Prezzo: 16,40 €
Genere: Narrativa
Pagine: 347 p.
Voto:
Trama: Seattle. È l’alba e il piccolo William si stropiccia i grandi occhi neri. Ancora avvolto nelle coperte, riesce quasi a sentire quelle canzoni sussurrate alle sue orecchie in una lingua antica. Ma è da cinque anni che non ascolta la voce di sua madre. Da quando è entrato nell’orfanotrofio e la disciplina ha preso il posto delle carezze; e l’odio è diventato la regola. Perché William è diverso da tutti gli altri, William è cinese. Eppure oggi è un giorno speciale. È la data fissata per il compleanno di tutti i bambini dell’istituto e finalmente William trova il coraggio di fare la domanda più difficile. Vuole sapere cosa è successo a sua madre. Le parole sono vaghe, ma lasciano intuire una risposta che trafigge il suo cuore come una lama: è morta. William non ci crede. Non vuole arrendersi a questa verità. Lui sa che è ancora viva. E c’è solo una persona con cui confidarsi: Charlotte, una cascata di capelli rossi e la pelle delicata come un fiore. Le sere passate con lei ad ascoltare la radio, a mangiare caramelle alla menta piperita o abbracciati, di nascosto, per paura di un temporale, sono i pochi momenti di felicità per William. Charlotte è l’unica a credergli e insieme decidono di fuggire dall’orfanotrofio per cercare sua madre. Ma ad aspettarli c’è un mondo pericoloso e oscuro. Il mondo violento delle strade di Seattle dei primi anni Trenta. Il mondo proibito dei locali, delle scintillanti insegne dei teatri e dei club. Proprio qui, William incontra uno sguardo che non ha mai dimenticato. Quello di una giovane cantante cinese. Deve scoprire chi è e cosa nasconde. Nessun ostacolo è troppo grande da superare. Ci sono domande che per anni sono rimaste soffocate, e adesso la speranza, forse, può tornare a crescere: la speranza di essere amati e finalmente al sicuro.
Recensione
di Debora
Credere non è vedere. Credere è sentire.
Questo è uno dei pochi libri, proposto ultimamente dalla casa editrice Garzanti, che mi ha lasciato un pò l’amaro in bocca. Ho dovuto ripercorrere varie volte il testo con la mente, ripensare ai personaggi e all’atmosfera per capire quale fosse il motivo di questa mia delusione.Il motivo principale è forse dovuto anche al momento che sto vivendo: ho voglia di leggerezza e di positività e, purtroppo, in questo libro grava un’atmosfera, a mio parere, molto triste e pesante. La prima cosa che la rende tale è l’ambientazione. Ci troviamo, infatti, nell’orfanotrofio dove alloggia il piccolo Willam, il primo narratore della storia. Qui l’atmosfera è già cupa, con la presenza antipatica di una suora -con un nome che è tutto un dire, tra l’altro! – che non è proprio il massimo della cortesia. Anzi, sembra proprio remare contro il nostro protagonista al fine di tenerlo lontano dalla verità. William vuole sapere chi è sua madre e il motivo per cui è stato abbandonato.
La teoria di suor Briganti era che i ragazzini bagnavano il letto quando indugiavano nella pratica illecita di toccarsi. Così aveva cominciato a legare loro le scarpe ai polsi quando andavano a dormire e..
A rendere più agonizzante la situazione sono anche i personaggi che circolano attorno a William, in particolare Charlotte, la sua più cara amica, che scopriremo avere una storia davvero straziante. Per complicare ulteriormente le cose, è anche cieca. Ho adorato questo personaggio così fragile e forte allo stesso tempo, e avrei voluto sicuramente più pagine dedicate a lei.
In tutto questo, ho trovato un’atmosfera davvero triste, dove la speranza non trova nemmeno uno spiraglio da cui passare. I personaggi devono cavarsela da soli, nessun segno positivo nella loro vita, solo strade difficili, e non sembra arrivare mai il momento buono. Sono entrambi alla ricerca dell’altro, alla ricerca di se stessi. Ancora una volta, il tema ricorrente nei libri della casa editrice Garzanti è quello della ricerca delle propria identità.
Proseguendo nel libro, troviamo poi anche il punto di vista della madre di William. Gli eventi passano dal 1930 circa, in cui abbiamo la voce narrante di William, e a tratti quella della madre, e il 1924 circa, dove troviamo invece il punto di vista di Liu Song, con le sue tristi vicende, perché anche per lei ce ne saranno davvero molte. Giovane donna cinese con molte aspirazioni nel mondo dello spettacolo, per lei le cose non sono facili: è vittima di pregiudizi di ogni tipo, che le rendono la vita un’inferno.
Inoltre, gli studenti che parlavano il mandarino l’avevano sempre guardata dall’altro in basso, mentre tutti gli uomini cantonesi volevano mogli nate in Cina, cresciute nella tradizione della sottomissione e della remissività.
Insomma, il ruolo della donna è ben chiaro anche da queste parole e l’autore, in questo senso, è stato molto attento a descrivere il tipo di vita in cui le donne sono sicuramente considerate inferiori.Troviamo anche un pizzico d’amore, che è l’unico spiraglio di positività; ma quando, e se, vi capiterà di leggere questo romanzo, forse anche voi capirete perché avrei voluto che Jamie Ford ci desse un pò più di speranza. Anche se nella trama, ci dicono, la speranza c’è: i personaggi la trovano dentro di loro, sì, ma è davvero poco quello che la vita gli offre se guardiamo alle sofferenze subite. Sembra quasi che qualcuno da lassù non distribuisca la felicità a giuste dosi: chi ne ha troppa e chi ne ha poca.
Fortissimo il legame tra madre e figlio, che resiste nonostante tutto.
Non leggetelo quando siete troppo giù di morale!