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La storia di "Come un Tuono" ha le stesse caratteristiche dei grandi kolossal cinematografici che in passato hanno lasciato il segno ma, in confronto a loro, porta quel distintivo nascosto nel taschino interno, insicura del suo pieno valore e della sua aderenza sul pubblico. Diviso in tre fasi - la prima attaccata a Ryan Gosling, la seconda a Bradley Cooper e la terza ai loro rispettivi figli - il dramma intenso dipanato dalla pellicola si allarga allora con moderazione, puntando dritto sulla figura dei padri e su quanto questa senta un forte obbligo di protezione nei confronti della sua prole (secondo Gosling ci vorrebbe una legge apposita a riguardo). Tutto gira intorno ai figli, dunque, e ai loro genitori – vicini e allontanati - disposti a mettere a rischio la propria vita pur di non perdere l'opportunità di stargli accanto e di regalargli, un giorno, un mondo migliore in cui vivere.
Cianfrance si fa però improvvisamente autore spietato. Pertanto, dalla flebile speranza che inizialmente si credeva stesse costruendo si concede un inaspettato cambio di guardia a capo del suo lavoro che spiazza completamente lo spettatore e dirotta tutto verso una strada carica di dolore e desolazione. Ogni azione dei padri (che non deve essere per forza un errore, sia chiaro) ricade inevitabilmente sulla vita dei loro figli, i quali, incapaci di cambiare il risultato di questa equazione, rimangono esclusivamente delle povere vittime innocenti. La differenza tra un padre assente e uno troppo presente - addirittura ingombrante - a questo punto va ad eliminare quel divario sociale esistente al principio, mettendo in crisi madri dal polso troppo debole e padri (o surrogati) ben disposti e onesti. “Come un Tuono” si tramuta così una distorta metafora sulla retta via, dal sapore amaro ovviamente, dove nessuno, in realtà, ha facoltà di costruzione e dove tutto è lasciato nelle mani del caso.
Nei suoi lunghi centoquaranta minuti Cianfrance è abile a smuovere gli stomaci e le menti, avvalendosi di una sceneggiatura ricca e colma di cambi, sia di ritmo che di centri d’interesse. Resta il fatto però che la sua è una storia non universale, che si esaurisce nei casi specifici che racconta e che sicuramente non riesce a reggere fino alla fine e, specie nella mezz'ora finale, fa sentire tutta la fatica di un allaccio troppo vasto e stratificato. Questo trascinamento impedisce all'opera di completarsi con la stessa convinzione con cui si era aperta, sfuggendo al tentativo di lasciare un segno ugualmente profondo a quello che il regista aveva lasciato col suo impegno precedente e attaccando con l’uso di una lama senz'altro più leggera ma che in alcuni frangenti non si risparmia anch'essa di piantare cicatrici evidenti.
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