Hai fatto di tutto per farmelo capire
ho fatto di tutto per rifiutare di capire
la realtà nuda, accecata dal forte bisogno che ho
di credere in te. Le tue ossa scoperte
che mi hai chiesto di guardare
che ho guardato senza poterti comunque raggiungere
fissando il limite che ci sovrasta. La spiaggia
dove mi tieni insieme agli altri rifiuti,
tu te ne vai come una lampara all’orizzonte
e vorrei che avessi un nome meno comune
per non sentirti ovunque, per non vederti ovunque
nelle facce dei serial killer che ti somigliano
con quegli occhi verdi vicini che hai
con quegli occhi liquidi sfuggenti che hai
con quegli occhi serrati ostinati che hai
che vorrei smettere di vedere ovunque
mentre certe mattine prendo il caffè al bar
con chiunque capiti, dicendo praticamente niente
al cameriere, tranne un caffè macchiato e un cornetto piccolo,
fumo la prima sigaretta della giornata
penso al colore dei cappelli dei turisti
a una canzone che ho scelto per te
che avrei voglia di chiamarti, cantartela al telefono
(che poi nemmeno so cantare)
fossi nata figa con una bella voce una chitarra i capelli lunghi e scalza
forse ti sarei piaciuta, almeno avrei potuto cantarti le canzoni al telefono
invece che provare a farti ridere (sempre questa voglia che ho di farti ridere)
(tutte le mattine), la questione delle braccia, anche,
che mi sento vuote, o il calore devastante come una foresta ad agosto i piromani
o il fatto che quando ti penso mi vengono in mente sempre le stesse immagini,
del nastro adesivo un contagocce delle forbici l’acqua,
che cerco disperatamente di dimenticarti mentre mi fumo la cazzo di sigaretta
e la spengo nel bicchierino di plastica del caffè
ma ti penso.