Come va a finire (prima parte)

Da Abattoir

Questa è la triste storia dell’adozione di un cucciolo di cane. Birillo era il 4° di una cucciolata di meticci, uno diverso dall’altro. Il parto era avvenuto gli ultimi di novembre, mese molto freddo anche a Palermo, ma riscaldato dalle cure della madre di Birillo, e dai suoi padroni, una coppia di anziani e distinti signori. Dopo circa un mese i cuccioli di meticcio furono messi in adozione; il giornale recitava: “Regalasi cuccioli di meticcio già sverminati solo ad amanti degli animali, possibilmente con giardino”, seguiva numero di telefono. Quando rimase l’ultimo cucciolo, forse il meno carino Birillo, un uomo, tra gli altri che avevano risposto all’annuncio, decise di adottarlo. Il sig. Massimo, questo il suo nome, era il candidato ideale: possedeva una casa indipendente con giardino, nei pressi di Palermo, aveva un bambino di 8 anni, Alessio, ideale compagno di giochi e di crescita; inoltre era benestante, e avrebbe potuto sostenere quindi i costi per eventuali cure veterinarie. L’adozione vera e propria del cucciolo avvenne però la mattina del 24 dicembre, doveva essere una sorpresa da mettere “sotto l’albero” per il piccolo Alessio. Purtroppo, però, tenere un cucciolo di cane dentro una scatola di cartone, al buio, in uno stanzino, non è una buona idea. Tornato da scuola, infatti, Alessio sentì una serie di “giovani guaiti” provenire dal camerino. Quando provò ad aprirlo scoprì che la porta era chiusa a chiave. Il padre non riuscì a nascondere un sorriso, mentre nella sua mente immaginava la sorpresa e la felicità che il figlio avrebbe provato aprendo la porta. Impaziente, il sig. Massimo chiamò la moglie, cacciò fuori da una tasca la chiave e lasciò che il figlio entrasse per tirar fuori il cucciolo. Non si chiamava ancora Birillo, questo nome gli fu dato qualche ora dopo, vista la sua attitudine alla caduta: quando qualcuno lo carezzava, Birillo mordicchiava la mano del malcapitato, per poi buttarsi a terra supino.

L’esperienza di vita del primo anno di Birillo fu esemplare: vaccini e controlli periodici, alimentazione sana e corretta, passeggiate frequenti. Faceva parte della famiglia, Alessio lo adorava, lo voleva sempre portare con sé anche quando si andava tutti insieme al centro commerciale. L’unico problema si presentò al momento delle ferie, quando la famiglia voleva andare in campeggio, il solito, che però non ospitava animali domestici. Dovettero cambiare luogo, optando per un campeggio più attrezzato e disponibile nei confronti degli amici a quattro zampe. Birillo sperimentò il mare e anche in spiaggia, giocando con altri cagnolini, dava spettacolo, era il più vivace, ma spesso cadeva o si buttava sulla sabbia. Alessio era contento. Il sig. Massimo pensava che il nuovo campeggio non era uguale a quello vecchio al quale erano ormai abituati. Era ovviamente diverso.

Questo “condizionamento” diede il la ad una serie di insofferenze per le cattive abitudini di Birillo, una tra tutte quella di lasciare in giro per casa ossa e pezzi di pane, per i “doveri” quotidiani quali le passeggiate al guinzaglio, sempre meno frequenti e più brevi, ridotte al necessario. Qualche volta il sig. Massimo non voleva neanche aspettare che Birillo avesse i giusti stimoli per i propri bisognini, lo strattonava via, quasi per punirlo di non essere celere. Quando capitava che Birillo non riusciva ad aspettare erano botte. Le attenzioni di Alessio si affievolivano pian piano. Birillo era ancora al centro dell’attenzione quando amici e parenti venivano a casa, ma a parte questi momenti Birillo non era più la “novità” da esibire per strada, quasi non faceva più parte della famiglia. Inoltre era cresciuto, anche se non molto, e non suscitava più la tenerezza iniziale, talvolta risultava persino invadente, sempre voglioso di coccole e carezze. Il pelo non faceva più il buon odore di talco, non lo spazzolavano e non lo lavavano con frequenza. D’altra parte ormai dormiva fuori, in giardino, in una nuova cuccia. Non c’era più l’entusiasmo del primo bagnetto. Il sig. Massimo si rese conto che l’incidenza delle spese per Birillo sul budget famigliare non era indifferente: croccantini di marca (circa mezzo chilo al giorno), spese veterinarie, vaccini e vari richiami, medicinali, oggetti da lui rotti e quindi da sostituire, tra cui un paralume d’epoca, appartenente alla buon’anima di nonna Rita, e i tulipani, che in giardino non avevano più speranza di sopravvivere, nonostante le recinzioni attorno all’aiuola.

Le condizioni di convivenza tra la famiglia e Birillo peggiorarono: il cane non usciva più per le opportune passeggiate, dovevano legarlo per impedire che Birillo rovinasse il giardino; questo rendeva ancora più isterico il giovane meticcio che abbaiava ogni volta che passava qualcuno vicino al cancello; il Sig. Massimo doveva “bonificare” l’area attorno al palo al quale era legato Birillo, raccogliendo ogni giorno la sua pupù. I croccantini vennero sostituiti con avanzi e croccantini meno costosi, in breve tempo il risultato fu una brutta alitosi. Persino Alessio gli stava sempre più lontano. D’altra parte se voleva stare con Birillo doveva stare in giardino, con la puzza che, per svariati motivi, si respirava, e con il meticcio sempre più appiccicoso e invadente nelle sue disperate manifestazioni d’affetto. Al Natale successivo Alessio ricevette una game console. Le sue attenzioni si rivolsero alla novità tecnologica, perdendo del tutto il contatto con Birillo. Ironia della sorte, uno dei primi giochi su cui Alessio perse letteralmente tempo fu un simulatore di allevamento e cura di un Pet, un animale d’affezione. Era un più moderno Tamagotchi; Alessio scelse di adottare un cagnolino, lo generò rassomigliante, per colore e per forma, a Birillo. Il virtuale Birillo era persino più esigente di quello vero: bisognava sfamarlo, giocarci, coccolarlo, curarlo, pena la perdita di qualche cuoricino e addirittura la morte virtuale del cucciolo. Ogni giorno Alessio accendeva la console e doveva prendersi cura del Pet, era ormai un appuntamento fisso. Del vero Birillo invece se ne occupava svogliato il sig. Massimo, che in maniera sempre più meccanica compiva, in genere la mattina, le quotidiane azioni necessarie: pulire, acqua, cibo.

Ormai Birillo si trovava ai margini del giardino, poteva trovarsi anche fuori del cancello, non faceva molta differenza. Poco prima dell’estate il sig. Massimo mise un annuncio: “Regalasi cucciolone di un anno e mezzo”. Visto che non riscosse molto successo così migliorò il tiro, facendo corna: “Causa morte degli anziani padroni regalasi tenero cucciolone di un anno, già sverminato e vaccinato, amante dei bambini”. Il commovente messaggio sortì l’effetto sperato, ed un paio di ragazzini risposero per vedere Birillo, ma solo per fargli qualche coccola, l’incontro terminava sempre con il ragazzino che diceva: “Le faccio sapere, devo prima parlarne con i miei…”. Il sig. Massimo voleva trovare una soluzione, voleva passare l’estate al solito campeggio, ma soprattutto non voleva perdere altro tempo e soldi per un cane che in fondo non aveva mai voluto, era solo il regalo del figlio, che adesso non ci giocava neanche più. Pensava sarebbe stato diverso, ma Birillo era proprio un pessimo cane, sporco, invadente e dannoso. Tra le soluzioni aveva vagliato anche quella del dog sitter, ma quanto sarebbe costato? E se Birillo fosse campato 14 anni? Una schiavitù per 14 anni non l’avrebbe retta proprio. Tornando indietro non avrebbe mai adottato Birillo.

(continua – appuntamento fra qualche giorno)


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