Da bambina ero sottopeso e farmi mangiare era sempre una lotta. Ricordo le corse in giro per casa la domenica mattina cercando di scappare al papà che mi voleva far bere una spremuta fresca; ricordo la sera in cui sono stata ore a guardare il mio piatto contenente quell'unico cavolfiore che non volevo assaggiare; ricordo le colazioni del weekend a base di uova sbattute e zucchero "perchè dovevo mettere su peso" ( che bei tempi!); ricordo i milioni di pranzi a base di riso bollito e parmigiano. Insomma, non sono mai stata una buona forchetta. Mi piacevano poche cose, e non avevo interesse a provare cibi nuovi.
Poi è arrivata l'America e quell'anno passato in una famiglia a metà vegetariana, che mi ha costretto di cose a provare cibi nuovi "per non fare bella figura". E poi è stata la volta dell'erasmus e delle cene da squattrinati con gli altri, che mi ha costretto a provare cibi nuovi "per sopravvivere e condividere". E infine l'Australia, con i suoi cibi diversi, quei nomi, colori e sapori mai sentiti, che mi ha costretto a sperimentare "per sentirmi parte di quella famiglia (dell'Avvocato) che mi ha ospitato". Da quando vivo all'estero infatti mi sono aperta molto di più al cibo. Mi sono ritrovata ad amare i funghi e gli spinaci che prima schifavo, mangio con regolarità il pesce che prima non mi attirava più di tanto, e recentemente (grazie al nostro coinvolgimento nel community garden) ho imparato a conoscere e a mangiare verdure senza nemmeno sapere cosa siano.
Il mio palato si è raffinato, il mio stomaco si è fatto meno schizzinoso e il marito ringrazia per le mie abilità culinarie acquisite. Eppure ci sono determinati cibi, quei comfort food che sono stati tutto il mio mondo durante la mia infanzia e adolescenza, per cui sento una pungente nostalgia. Perchè se è vero che qui in Australia ci sono tantissimi negozi italiani e si trova "quasi tutto", è pur vero che di solito quel "quasi tutto" non è il tutto dell'Italia. Sono prodotti simili, prodotti che ricordano, prodotti che tappano quella voglia nello stomaco e nel cuore degli italiani, senza mai riuscire a soddisfare del tutto.
Come la cioccolata calda che non è cioccolata vera, ma simil-Nesquik (che ovviamente c'è anche qui): una brodaglia di latte e cacao in polvere (la stessa che vi viene servita al bar) che neanche lontanamente ricorda la mia Ciobar densa degli inverni adolescenziali con Sonia. Come il panettone o la colomba pagati a suon di dollaroni, che non hanno niente a che vedere con quella sofficezza della prima fetta del primo panettone del pre-Natale italiano, ma che ricordano invece la secchezza dell'ultima fetta dell'ultimo panettone aperto la settimana prima di Pasqua. Come quella fetta di gorgonzola o brie pagati a peso d'oro, che ricordano nella consistenza e nella sbriciolatura quel pezzo di formaggio dimenticato fuori dalla carta in fondo al frigo per qualche settimana. Come i pomodori sempre tondi che non sanno che di acqua, e che mi fanno rimpiangere con forza le perine della mia estate, quando me le mangiavo a morsi, con il sugo che mi colava lungo le dita giù fino ai gomiti.
Insomma, negli ultimi 10 anni ho fatto davvero passi da gigante dal punto di vista dell'alimentazione. Mangio cibi che fino ai 16 anni avrei tranquillamente schifato, e da quando mi sono trasferita all'estero mi sono rassegnata a mangiare quello che trovo. Ma ci sono determinati cibi che restano comunque i cibi del mio cuore, cibi che devono essere fatti in un determinato modo e che voglio mangiare in una determinata maniera. Ahimè sembra a volte un desiderio destinato a rimanere irrealizzato...
Finchè non trovi quel negozietto in cui non sei mai entrata, che offre quella cioccolata che sogni da 4 inverni, quel panettone che sogni ad ogni Natale, e quei pomodori a cui pensi a ogni estate. E allora tiri un sospiro di sollievo e ti gusti questa meritata felicità delle piccole cose.