Magazine Cultura
LA CASA ILLUMINATA DAL VENTOPaolo Trombaccia Errico
II
CIELI ITALIANI,
Volo Venezia-Napoli, settembre 2007
Siamo a 3-4 mila metri da terra ed immancabilmente, nonostante io prenda spesso l’aereo, avverto il solito filo d’ansia che mi disturba la respirazione. Due sono le cose che mi terrorizzano, al solo pensarci: volare e il mare in tempesta, specialmente se di notte. Dato che in questa vita non ho subito incidenti, mi sembra addirittura ovvio ipotizzare che, nella mia vita precedente, io sia caduta da un punto molto alto e sia quindi annegata in un mare in tempesta!
Appena possibile, vorrei lavorare su questi blocchi. L’anno scorso, trovandomi sul lungomare durante una tempesta marina, mi assalì improvvisamente un’ansia che si trasformò subito in terrore quando vidi da vicino quelle immense onde che si abbattevano contro la scogliera. All’improvviso, si bloccò la respirazione. Stavo male e mi resi conto che ero pronta a scoppiare in un pianto disperato. Dovetti scappare via e mettermi al riparo da quella scena e fui nuovamente in grado di respirare tranquillamente solo quando mi trovai tra i palazzi e la gente, lontano dal mare.
Tutto questo, per una come me, è inammissibile! Non posso aver trascorso decine e decine di ore a fare meditazione e yoga, a recitare mantra e a fare ginnastica respiratoria tibetana e reiki e parecchio altro ancora, per ritrovarmi a trentacinque anni, su questo aereo, guardando in basso e scorgendo il mare, con le stesse angosce che da bambina mi terrorizzavano quando facevo il bagno nella conchetta!
Accanto a me è seduta Franca. Sul sedile davanti al mio c’è Raimonda. Atterreremo a Napoli tra una decina di minuti. Poi andremo al porto e c’imbarcheremo per l’isola di Procida. Resteremo là qualche giorno e dunque ci sposteremo ad Ischia. Altra sosta di pochi giorni per passare a Capri. Da lì a Sorrento, poi la Costiera Amalfitana e poi di nuovo verso Napoli. Due settimane in tutto e si ritorna a Bolzano, da dove siamo partite.
Raimonda si gira indietro e mi chiede:
-Gina, quali sono queste isole?-
Io do un’occhiata dall’oblò e tra le nuvole che velano un bel cielo azzurro riconosco il massiccio del Monte Epomeo di Ischia. Dico:
-Quella è Ischia. La più piccola invece è Procida.-
-Uhm, bello.- dice Raimonda sospirando, mentre ci comunicano di allacciare le cinture perché stiamo per scendere.
I miei genitori sono originari di Napoli ma abitano a Bolzano. Io sono innamorata di questi posti, specialmente delle isole. Ho trascorso parecchio tempo a Napoli e dintorni. Fino a sette anni fa, ero una monaca dell’ordine delle suore di Santa Brigida, e ho vissuto anche nel convento dei Camaldoli di Napoli. Quando ho lasciato voti e monastero, l’unica cosa di cui ho avuto una tremenda nostalgia, era questo panorama e queste atmosfere, che ogni giorno ammiravo dalla celletta del mio convento. Dall’eremo dei Camaldoli credo che si possa ammirare uno dei panorami più belli e mozzafiato del mondo.
Ogni volta che posso torno qui, come se per me fosse una necessità inspiegabile, o ne fossi attirata per motivi misteriosi.
Ho organizzato questa vacanza con le mie due migliori amiche, che non sono mai state a Napoli, proprio per mostrare anche a loro il potere energetico di questi luoghi.
L’aereo si abbassa. Passiamo tra le nuvole. Sento il cuore che va più veloce dei due motori. Sempre così, ogni volta! Non ho paura della morte, ma non ho desiderio di affrontarla subito. So di avere ancora molte cose da risolvere e da capire, in questa vita e sto cercando i tempi e gli strumenti giusti per farlo. E ho una missione da compiere! Questo pensiero mi spinge a tirar fuori dalla maglia un rettangolo di legno di quattro-cinque centimetri, in cui è intarsiato un crocefisso inserito in un calice. Lo stringo nella mano destra e con l’altra, di nascosto e quasi automaticamente, dispongo le dita a formare il tre della Trinità. Se morissi proprio adesso, lascerei troppe cose in sospeso che mi toccherebbe risolvere nella prossima vita! Che idee bizzarre ma servono a fugare le paure momentanee. Tutto sembra procedere regolarmente. I palazzi ci vengono incontro. Sorpassiamo auto, strade, alberi, persone. Ci passa la città sotto al ventre e finalmente avvistiamo la pista. Sto cercando di controllare il respiro con tecniche yoga.
"Capodichino dreaming!... Stiamo arrivando. Allarga le braccia amorevolmente, oh terra del Sud. Accogli questo volatile meccanico con affetto e senza sbalzi e scossoni distenditi sotto i miei piedi tremanti!".
Faccio scorrere le dita sul crocifisso di legno e ne avverto i rilievi. Sento una carica d'energia immensa sbocciarmi nello stomaco! Mi calmo, sorrido e mi ricordo così, di non essere sola.
III
MAR TIRRENO, poche miglia al largo di Procida.
Sto fischiettando un pezzo di Lucio Battisti. Lo ricordo con affetto, al punto che mi sembrava di conoscere il suo cuore. E’ sempre difficile accettare la morte di un artista perché ti viene a mancare quello che inconsciamente ritieni sia un grande amico. Il rapporto che si instaura a distanza con un artista, a volte diventa più forte di quello che si può avere con un parente vicino. Si arriva a guardarsi nel profondo aprendo un libro o uno spartito, scoprendo una tela, e si trova un pezzo del cuore di quell’artista.
Il traghetto continua la sua navigazione. Siamo quasi al porto di Procida. Scorre l’acqua sotto i piedi e la terra si allontana alle mie spalle. Davanti a me la mia meta: l'isola. Mi trovo in un perfetto momento di transizione, come sta avvenendo nel mio cuore. Dietro di me un rapporto, un amore che via via si allontanano. Davanti a me, emozioni, luoghi e persone da esplorare. Nel mezzo, il mare dei sentimenti in cui navigare, cercando di non perdersi.
Vedo il sole scendere dietro le case del porto. Sono affacciato alla ringhiera del ponte di coperta. Fischietto ancora la canzone di Battisti che mi colpisce di più: ”Amarsi un pò”. Che capolavoro! Mi è saltata in testa ripensando al mio matrimonio, a mia moglie, così facile da incontrare all’inizio, ma così difficile da conoscere e capire in seguito. Proprio come nella canzone…
“amarsi un po', è come bere. Pìù facile: è respirare.
Basta guardarsi e poi, avvicinarsi un po', per non lasciarsi mai impaurire…
Però...però volersi bene, no...partecipare, è difficile quasi come volare…”
Ah, diamine, quanta verità in questo testo! Due note e due rime per esprimere alla perfezione qualcosa che i filosofi di ogni epoca hanno impiegato le loro vite per definire, magari senza neanche riuscirci. Il genio di due uomini, Mogol e Battisti, riassume in un istante la meraviglia del primo incontro e dell'innamoramento in cui si può scivolare semplicemente, quella stessa insostenibile leggerezza dell’essere, che Kundera tenta di spiegare con qualche difficoltà in un libro intero. Ma ecco che subito dopo appare chiara l’immagine del bene profondo, l’affetto che nasce dal rapporto quotidiano che diventa via via difficile da costruire e da mantenere. Unirsi in un legame di coppia completo, sentendosi allo stesso tempo amici, complici, fratelli, amanti, sposi, confessori in un dialogo costante e reciproco è difficile. Ormai ne sono convinto, è difficile almeno quanto volare!
Il genio dell’artista si trova proprio nella creazione di un istante, quando, grazie alla folgorazione di un attimo ispirato, riesce a illuminare la via interiore di altri individui. Riesce persino a insegnare a guardare il proprio percorso, a riconoscerlo, a seguirlo con ogni mezzo, anche istintivamente, per raggiungere livelli di conoscenza superiori. Solo il genio di un artista può condurre il resto dell'umanità a percepire ed a vivere internamente ciò che invece sarebbe solo speculazione mentale e supposizione filosofica.
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