Dopo aver visto anche l’ultimo film (in concorso) battente bandiera francese, ecco il racconto delle sensazioni provate durante il mio viaggio tra champagne al sacco, pièce provate in giardino, tristi storie di cortile e favole rivisitate.
Una mattina di festival, la sezione Panorama attira la mia attenzione: il meraviglioso attore della Venere in Pelliccia, Matthieu Almaric, è protagonista di Arrête ou je continue, dove veste i panni del marito sfiancato da un matrimonio oramai spento. L’uomo ignora la moglie al punto da farla scappare a meditare nei boschi, da cui uscirà poco smagrita, ma molto lucida. La donna è stufa di essere invisibile. La conseguenza è la rottura che traumatizza il consorte, che confidava nelle insicurezze della moglie per mantenere il confortevole status quo. Situazione comune, vista, talvolta provata, e mai gradita. Lo spaccato di realtà è evidente, la bravura del cast non è messa in discussione, la debolezza in regia però c’è. Entrambi gli protagonisti sono sotto tono, con battute dall’alto potenziale che, nonostante i ripetuti tentativi, mai riescono a farci ridere. Se lo scopo era il dramma, allora è fallito. Idem, se si puntava alla commedia. Poche le gag giocose e spensierate, molte le situazioni che intuiamo possano essere divertenti, il film non decolla e noi ci ritroviamo con poco da commentare.
Emmanuelle Devos et Mathieu Amalric in “Arrête ou je continue” © Berlinale
Nel pomeriggio è stata la volta del film in concorso Aimer, boire et chanter (Life of Riley) del regista Alain Resnais. La pellicola è un inno alla vita in cui l’autore convoca i suoi attori feticcio e li fa recitare una pièce dentro la pièce in un colorato finto giardino. L’opera riprende l’originale spettacolo che va ancora in scena oltre Manica e riesce a farci ridere e meditare allo stesso tempo. Lavoro di un’altezza inavvicinabile ma non per tutti: le giovani leve si potrebbero annoiare non trovando un ancoraggio e l’iniziale sperimentazione del regista oramai è divenuta una consuetudine.
La giornata si è chiusa con Dans la Cour, dolce storia di terza età, drammi da condominio e disadattati di vario tipo. Nel film sfila un vero campionario di follie condominiali, manie cittadine, e di personaggi deboli e molto comuni. Protagonista è la splendida Mme Catherine Deneuve, qui moglie in pensione del proprietario dello stabile che, per fretta e disattenzione, un giorno assume il timido e introverso Antoine in qualità di nuovo portinaio. Mathilde non ha voglia di invecchiare, di annoiarsi, o di rimbambire e morire sola, il nuovo concièrge invece è invisibile e fa di tutto per rimanere tale. Tra i due si crea un’alchimia, una complicità, una tenera amicizia, grazie a cui uno diverrà il supporto, l’alibi, il rifugio, dell’altra. Questo inatteso e strano equilibrio reggerà sino al finale, in cui la vita e la sua miseria riprenderanno il dominio e metteranno le cose al loro posto (che non per nulla significherà il meglio). Anche qui c’è un potenziale che non pare ben sfruttato: in questa dramedy mancano i fuochi d’artificio, c’è solo l’umana debolezza e la voglia di non perdere la dignità quando il beffardo fato sopraggiunge. Film carino, grazie alla presenza scenica di tutti, ma non eccellente.
Catherine Deneuve, et Gustave Kervern in “Dans la Court” © Berlinale
Dopo questa giornata costellata da opere sottotono, a San Valentino ho riposto tutte le speranze nella favola de La bella e la Bestia, adattamento per grande schermo di una favolosa storia, uno dei primi casi di eroe in gonna, riportato in auge qualche anno fa da casa Disney: Belle è forte, giovane e bella e non temerà nulla quando difenderà una Bestia dal cuore grande, anche se inaridito dopo il grave lutto subito. Lui è Vincent Cassel con indosso un’orribile (e visibile!) maschera, lei è Lèa Seidoux. Il film parte da un meraviglioso racconto, ma ci viene restituito molto rivisitato: si sposano, infatti, i canoni del melodramma amato a Bollywood e della telenovela venezuelana anni ’80 (gulp!). Il risultato non provoca le emozioni che ci ha dato la versione animata di Disney ma, soprattutto, provoca una incontenibile ilarità collettiva. Tra qualche giorno la recensione…
Confido sia solo passeggera stanchezza, perché nel cinema francese ripongo da sempre speranze e in passato ho ricevuto le migliori sorprese
Vissia Menza