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Commenti su l’andata e il ritorno e i giorni dello sponz fest – parte seconda - di Dino

Da Luciamarchitto

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Borgo castello – monumento dell’attesa

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Il borgo è magnifico, il sole che cala, il vento freddo, lo splendore.
Lascio che la luce penetri dentro gli occhi, abbandono il corpo al vento, osservo le persone che arrivano a frotte, qualcuno mi saluta, non dovrei essere e non vorrei essere così come sono, ma sono distante, con tutta questa pena addosso non riesco proprio a fare due chiacchiere. Riesco ad eclissarmi nell’allestimento di questo monumento, questo monumento dell’attesa fatto di donne che raccontano, parlano degli anni in cui erano vedove bianche, quando i mariti partivano per mare o col treno, per un altrove di fortuna, per un altrove così lontano e inimmaginabile. Donne che nell’attesa fanno la catenella con l’uncinetto, tessono e intrecciano i fili dell’esistenza, ogni filo intrecciato a un altro filo, per annullare la fragilità, per costruire una trama di solidarietà, di sostegno, una trama per sostenere l’attesa, per renderla sopportabile. Ed è mentre osservo che mi quieto e finalmente sparisco.
Mi meraviglia con la recita a memoria di alcune pagine del mio primo libro, e un poco mi risveglia, per subito ripiombare nel precipizio della pena. Niente di quello che ho fatto in fondo è servito a qualcosa, ma forse non doveva servire a niente, doveva solo essere. Essere. Guardo le donne fare l’uncinetto, è quasi buio, le persone vanno e vengono. Un bambino dorme in braccio alla madre.
Ci spostiamo più in alto, da qui si domina il paese.
Il convegno è avvolto nel vento gelido della sera eppure le parole sono calde. Hanno il potere di affascinarmi. Vorrei che non finissero mai di scaldare il vento.

CretAttiva

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Mi è sempre piaciuta la creta, le mani che l’impastano, la forma che nasce, anche l’imperfezione, soprattutto l’imperfezione.
C’è un sole che spacca le pietre, ci spostiamo verso l’ombra fino a quando sparisce. Nel tornare a casa passo per le grotte allestite con le opere in ceramica. Due bambine siedono sulla soglia. Il sole e l’ombra disegnano geometrie sulla pietra resa viva da quei due piccoli corpi che guardano la grotta e parlano. La loro voce è una voce che viene da lontano. Quando mi avvicino mi guardano, guardano la macchina fotografica “Fai una foto a mia sorella?” dice la più grande, fotografo entrambe, si guardano sul display, sorridono.
Vorrei andare a “Sognare il treno” ma non so con chi, e a chi chiedere un passaggio, e poi stare tutta la notte fuori vuol dire dormire il giorno dopo, e quando faccio compagnia a loro due? Così alle 10 sono già a letto e il treno me lo sogno per davvero.
Oggi c’è un Maestro di ceramica svizzero che utilizza un metodo antico giapponese per le sue opere, si chiama Raku rasa. Non si direbbe uno svizzero, perlomeno ciò che si dice degli svizzeri, perché poi, in realtà io non ne ho mai conosciuto uno.
Cola lo smalto sul piatto e sopra le anfore, cola e si spande e crea forme vive come il fuoco in cui poi le fa rotolare. Senza guanti a volte le rivolta. Mi ricorda il gesto antico di mia madre quando rotolava i peperoni nella brace, spostando il tizzone ardente a mani nude come fosse cosa fredda.

Sponz film

Mia madre, mia figlia, io sto nel mezzo. Mio padre sta fuori. Con mio fratello e mia cognata condivido la pena.
Vado alla casa dell’Eco a guardarmi i cortometraggi in concorso.
Questa casa che una volta era tanto grande, ora così minuta, quasi fosse una vecchia che si è rattrappita negli anni, questa casa che accoglieva sposi e balli e giochi di bambini tra coriandoli e stelle filanti, soprattutto stelle filanti che avvolgevano gli sposi e che loro, i bambini, strappavano e arrotolavano e tiravano e, a volte, divenivano materasso o cuscino su cui addormentarsi, mentre mazurke, quadriglie, polke, valzer e tarantelle facevano sponzare tutti i ballerini. Questa casa così piccola rispetto al mio ricordo è un museo fotografico di matrimoni in bianco e nero, ora si fa sala cinematografica e mi accoglie, mi distoglie e mi meraviglia.
Ci sono tornata a ogni appuntamento, ho visto tutti i cortometraggi, alcuni così belli e intensi mi sono rimasti attaccati addosso, me li porto appresso per la via.

Sponz fest
Si sente nell’aria, cammina per i vicoli la festa, cresce nel viso che viene da lontano, sulla lingua sconosciuta, su quella conosciuta. Come una frenesia scuote il paese, lo sveglia dal torpore, fa spalancare i portoni, case e grotte, come una volta ogni vicolo è pieno, ogni porta si apre, ogni finestra si illumina, ogni cuore canta.
Cos’è l’amor.
Già cosa è questo amore che bussa forte contro i muri, tra le pietre e il tufo delle grotte, che rimbalza tra i vicoli come una palla. E’ struggente questo amore. Così romantico. Così antico.
Dice la festa “Per una volta scordati che l’erba del vicino è sempre più verde, scordati dei rancori, delle frustrazioni, delle incomprensioni. Della pena. Per una volta smetti di parlare e canta, per una volta almeno balla, balla e sponzati sotto questo cielo, tra queste luci, in mezzo a tutti questi altri corpi sponzati al pari del tuo, ché nel sudore siamo tutti uguali, tutti uguali e tutti diversi e la tua mano ora è calda.

Ritorno
Soltanto dopo averla ripetutamente chiamata a gran voce, solo così mia madre si espone al balcone per un saluto veloce.
Mio padre scruta dentro il pullman con la mano alzata, non mi vede, busso contro il vetro, mi sposto, busso ancora, il pullman parte e lui resta con la mano in aria senza saluto.
Non c’è un posto libero sul pullman. C’è la coppia mano nella mano, c’è la ragazza scura con la pelle chiara, non c’è il nervoso, c’è una mamma con due bambine meravigliose, una signora della mia età mi siede accanto e il viaggio si fa complice della nostra compagnia.
La mia casa mi accoglie con l’abbaiare del cane e il miagolare del gatto, sento il freddo scivolare via per fare posto a un calore che conosco.


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