Bellaria, 30 giugno – 5 luglio 2014
Il mare della cura
Quest’anno stremata dalle notti insonni a causa dei dolori alla cervicale ho deciso di fare una vacanza di tutto riposo: niente viaggi lunghi, niente bellezze da scoprire, soltanto sole, sdraio, ombrellone, e libri che non ti fanno pensare perché pure di pensare sono stanca, ed è per questo che ho scelto di andare a Bellaria e di prendere due libri soporiferi di cui non ricordo più né titolo né autore, il terzo non so come è finito in fondo alla valigia perché tutto è tranne che leggero, tutto è tranne che riposante, tutto tranne che soporifero: Uomini e no di Vittorini.
E il mare è come il mio sguardo e la spiaggia pure: piatta e lunga.
La mia pancia finalmente resa piatta dalla posizione sdraiata mi consente di osservare tutte le pance che passano, alcune sono globi da far invidia alla luna piena, altre incavate tra due ossa d’anche puntute, altre lisce come lastre di marmo levigate, altre ancora pendono flosce sui bikini. Ogni pancia un paesaggio da scoprire. Ma, prima o poi, ogni cosa viene a noia così sollevo un po’ lo sguardo, non molto, soltanto un filo più a lato ed è così che faccio la scoperta: mano nella mano vanno donne con bambini, bambini con papà, ragazzi e ragazze e soprattutto anziani e soprattutto persone abili con persone diversamente abili.
Mi alzo, prendo la macchina fotografica, comincio a camminare e con il terzo occhio vedo ciò che con due non avevo visto: la spiaggia senza spigoli e senza protuberanze alleggerisce ogni passo accolto poi dal mare basso e calmo, un mare che permette a tutti di toccarlo, di farsi lambire le caviglie, il mare che accoglie con un abbraccio il più indifeso corpo, il più vecchio e il più giovane, e coloro i quali sulla terra strascicano i piedi e sostengono a malapena il corpo, curvi sotto il peso, nell’acqua si sciolgono nell’abbraccio, finalmente lievi come tutti gli altri.
E quelle mani unite sopra il mare.
Uomini.
Ho amato gli uomini dentro al mare.
Ho amato il mare con dentro gli uomini.
Soprattutto il mare.
Soprattutto gli uomini
Soprattutto le mani unite.
Ed è stato così che mi sono persa. Non riuscivo più a trovare la mia sdraio. Mi sono dovuta allontanare da quel mare senza spigoli né protuberanze, né confini cui aggrapparmi per poter fare ritorno al punto di partenza.
Così ho visto: cestini per la carta, il vetro, le lattine, l’umido, nessuna carta per terra, cabine normali e cabine per disabili, nessuna barriera architettonica. Nessuna.
Questo – penso – è il mare della cura. Il mare che non ti abbandona alla deriva.
Ed è così che ritrovo la strada: ogni bagno un numero, sono al 24, il mio è il 2, forse, non sono sicura, telefono e ritorno alla mia sdraio.
Questa è un’estate fatta di nuvole e temporali che ostacola chi, come me, se ne vuole stare tutto il tempo sotto l’ombrellone, perciò non ho potuto ottemperare completamente al mio proposito e in una giornata particolarmente nuvolosa ho accettato la proposta di visitare Ravenna.
Una meraviglia.
La tempesta ci ha colto all’interno di San Vitale e lì ho visto la bellezza che tra i mosaici splendeva: lui appoggiato a un bastone, in un passo da moviola, si avvicina alla panchina dove lei lo accoglie per leggergli l’opuscolo.
Una bellezza struggente.
Un mosaico dentro il mosaico e la tempesta fuori.