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Commento alla sentenza della Cassazione che ha condannato Berlusconi: UN REATO IN CERCA D’AUTORE

Creato il 31 agosto 2013 da Bernardrieux @pierrebarilli1
Commento alla sentenza della Cassazione che ha condannato Berlusconi: UN REATO IN CERCA D’AUTORE I giornali pubblicano le 208 pagine di motivazioni della sentenza della Cassazione che ha condannato Berlusconi. In essa si legge che: 1) Berlusconi si è dimesso da ogni carica in Mediaset nel gennaio 1994; 2) da allora non ha avuto contatti con i dirigenti Mediaset ("Berlusconi, pur non risultando che abbia intrattenuto rapporti diretti con i materiali esecutori della gestione finanziaria Mediaset…); 3) il meccanismo della frode fiscale è stato ideato da lui (speriamo ciò sia provato, nell’immensa motivazione) ed ha continuato a funzionare anche dopo che lui è divenuto soltanto azionista; 4) i massimi dirigenti dell’impresa sono rimasti gli stessi, più o meno, anche dopo che lui si è dato alla politica; la citazione precedente infatti prosegue (… ha lasciato che tutto proseguisse inalterato mantenendo nelle posizioni strategiche i soggetti da lui scelti e che continuavano ad occuparsi della gestione in modo da consentire la perdurante lievitazione dei costi di Mediaset a fini di evasione fiscale"); 5) il massimo colpevole della frode è tale Bernasconi il quale, secondo le testimonianze di alcuni, seguiva gli ordini di Berlusconi.
Argomentazioni inconcludenti. Se il meccanismo è stato inventato da Berlusconi, e se Berlusconi è uscito da Mediaset nel 1994, l’aver progettato quel meccanismo, ammesso che costituisca reato, è coperto dalla prescrizione. Colpevole è eventualmente chi l’ha fatto funzionare in seguito, non chi l’ha inventato. Che i massimi dirigenti dell’impresa siano rimasti gli stessi non significa nulla, giuridicamente. Se, in quanto sodali di Berlusconi, con lui hanno complottato per commettere la frode fiscale, è questo complotto, che va provato, non l’amicizia. E invece la sentenza si mantiene sulle generali: “i personaggi chiave sono stati mantenuti (da chi?) sostanzialmente nelle posizioni cruciali anche dopo la dismissione delle cariche sociali da parte di Berlusconi e in continuativo contatto diretto con lui (ma la sentenza non ha scritto prima “pur non risultando che abbia intrattenuto rapporti diretti con i materiali esecutori della gestione finanziaria Mediaset”?) di modo che la mancanza in capo a Berlusconi di poteri gestori e di posizioni di garanzia nella società non è un dato ostativo al riconoscimento della sua responsabilità”. Ma snon risulta che l’accusato abbia intrattenuto rapporti diretti con i materiali esecutori della gestione finanziaria (dunque neanche una telefonata, diversamente i magistrati l’avrebbero citata) come si può affermare che abbia avuto un’attività commissiva? Né costituisce reato il fatto asserito  che abbia “lasciato che proseguisse” l’attività illecita, anche perché, non avendo nessuna carica in Mediaset, non aveva nessuna possibilità giuridica di impedirla. Ma ecco il punto essenziale. I testimoni secondo i quali Bernasconi seguiva le direttive di Berlusconi non affermano di avere assistito agli asseriti contatti o di avere con le loro orecchie sentito Berlusconi che dava questi ordini. Affermano soltanto di essere convinti di questo fatto. Ecco le parole della sentenza: “Bernasconi, un uomo di sua assoluta fiducia, dava conto della sua attivita' direttamente a Berlusconi e non riferiva al consiglio di amministrazione' (Tato'). Egli 'aveva piena autonomia nell'acquisto dei diritti e l'unico a cui rispondeva era Berlusconi, non rispondeva ad altri ' (Tronconi); 'era, al di la' delle qualifiche, nella televisione, il factotum di Berlusconi' (Cavanna); 'era il braccio destro di Berlusconi' (Sanders)". Bla bla. Giuridicamente, se questi signori - Tatò, Tronconi, Cavanna, Sanders - sono stati presenti quando Bernasconi riferiva tutto a Berlusconi e prendeva ordini da lui, perché non hanno indicato date e circostanze, e perché la Cassazione non fa riferimento ad esse? E se non sono stati presenti starebbero testimoniando soltanto su una loro convinzione. Fra l’altro, secondo la Cassazione, essi affermano che Bernasconi “riferiva” a Berlusconi, ma non risulta, da queste righe, che poi prendesse ordini da Berlusconi e li eseguisse. Addirittura anche quando si trattava di frodare il fisco, e non a suo vantaggio. Insomma, anche quando si citano nomi e testimonianze, non si esce dal “non poteva non sapere”. Un principio che avrebbe reso infelice il giudice Esposito, se solo si fosse accorto che su di esso si fondava la condanna. Luigi Ferrarella, sul Corriere della Sera(1), reputa pienamente provata la responsabilità penale di Berlusconi. Il suo problema “non è il non aver potuto non sapere, e nemmeno l'aver forse saputo, ma l'aver proprio fatto”. Ecco il ragionamento: la frode fu ideata in anni lontani (venti almeno), ma col meccanismo degli ammortamenti ha continuato a produrre utili per Mediaset anche negli anni successivi. Innanzi tutto Ferrarella sta dichiarando, che se ne accorga o no, che Berlusconi non ha commesso alcun reato in questi ultimi venti anni. Ma l’argomentazione sembra veramente tirata per i capelli: pur di far guadagnare una miseria in più agli azionisti (di questo profitto è accusato anche Berlusconi) i dirigenti si sarebbero messi a rischio di essere condannati ad anni di carcere? Sembra poco probabile. Sembra più probabile che quel meccanismo di elusione fiscale, quale che fosse, sarà loro apparso perfettamente legittimo. Ma c’è di più. Se, per la commissione del reato, fosse sufficiente l’aver “ideato il meccanismo”, come mai i giudici di tutti e tre i gradi, e colui che ha scritto le motivazioni della sentenza della Cassazione, si dànno tanta pena per dimostrare l’influenza determinante di Berlusconi nella condotta dell’azienda? Le testimonianze di Tatò, Tronconi, Cavanna, Sanders non riguardano l’ideazione dell’elusione fiscale, ma gli anni successivi. E i giudici si affannano a dimostrare che l’ha commessa Bernasconi, su indicazioni (presunte) di Berlusconi. E allora l’ideazione del meccanismo non era sufficiente, per la condanna. Ma forse seguiamo una logica diversa da quella dei magistrati. La verità ultima ce l’insegna un proverbio francese: qui veut noyer son chien l’accuse de la rage, chi vuole annegare il suo cane dice che ha la rabbia. Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it http://feeds.feedburner.com/BlogFidentino-CronacheMarziane

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