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Se avevamo bisogno di ulteriori conferme a quanto andiamo dicendo da anni… beh: la Commissione Europea ha riassunto nei giorni scorsi esattamente il concetto che denunciamo ormai senza sosta. Sembra quasi abbiano letto tutti i “post” di questo blog, prima di redigere il rapporto. Ma andiamo con ordine…
*La fuga di cervelli puo’ causare una perdita netta permanente di capitale umano altamente qualificato, a danno della competitivita’ dell’Italia. A medio e lungo termine puo’ compromettere le prospettive di crescita economica dell’Italia e anche le sue finanze pubbliche. Così sostiene il rapporto della Commissione UE sugli squilibri macroeconomici, nel capitolo dedicato al mercato del lavoro.
**Secondo lo studio, il numero di giovani altamente qualificati che emigrano all’estero e’ cresciuto rapidamente a partire dal 2010 e non e’ stato compensato da flussi di italiani, con pari qualifiche, che hanno fatto rientro in patria. E tantomeno – sottolinea il Rapporto Ue – si puo’ parlare di uno ‘scambio di cervelli: molti lavoratori italiani altamente qualificati italiani lasciano il Paese, ma solo pochi cittadini di altri Paesi, dello stesso livello, scelgono l’Italia come destinazione.
***L’aumento di emigrazione – sottolinea il rapporto – riflette le migliori opportunita’ e condizioni di lavoro all’estero. I sondaggi indicano che, rispetto ai loro omologhi che lavorano in Italia, i giovani laureati italiani all’estero non solo guadagnano di più, ma sono piu’ spesso assunti con contratti a tempo indeterminato, e ritengono che la loro qualifica ufficiale sia piu’ idonea per il lavoro che svolgono.
****Questo fenomeno non rientra nella definizione di ‘circolazione di cervelli’, cioe’ quando persone si recano temporaneamente all’estero per studiare o lavorare, ma poi tornano nel Paese d’origine.
*****Quanto ai danni sociali, il rapporto osserva che la ‘fuga dei cervelli’ comporta un duplice costo finanziario: in primo luogo la spesa pubblica sostenuta per l’istruzione di studenti che poi lasciano definitivamente il Paese, e, in secondo luogo, in termini di futura perdita di gettito da imposte contributi sociali che i migranti altamente qualificati avrebbero pagato lavorando in Italia.
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