Che quello che una volta era il giornale di Gramsci da quanto ha ripreso le pubblicazioni sia tutt’altra cosa basta una rapida occhiata alle prime pagine di questi giorni per stabilirlo.
Una linea editoriale riformista che difficilmente riuscirà ad avere successo poiché appare estremamente improbabile che riesca da un lato a mantenere gli affezionati del vecchio quotidiano e dall’altro lato a sottrarre lettori a Repubblica, Corriere e La Stampa vincendo l’avversione spontanea per la testata e per la tradizione che comunque si porta dietro. Infatti, dalle voci che girano all’interno dei diversi gruppi di edicolanti presenti su Facebook, ad eccezione del primo giorno non pare esattamente un successo di vendite, diciamo, per usare un eufemismo.
Il peggio però arriva dalla versione online chiaramente progettata per essere di supporto alla versione cartacea e non protagonista come dovrebbe essere naturale per un quotidiano che [ri]nasce nel 2015.
Se è sempre più chiaro che il giornalismo è una conversazione a due vie. I contenuti sono la base, la reputazione e la comunità, le chiavi del successo. È proprio dall’area community de l’Unità che si comprende come il giornale sia nato vecchio, obsoleto, e sia destinato a seguire le sorti di molti quotidiani apparsi e scomparsi dalla scena editoriale come meteore in questi anni.
Stiamo sposando una comprensione più larga di ciò che può fare un giornalista. Siamo community organizer, catalizzatori di discussioni – spesso scherziamo dicendo che siamo «dj delle news», ha scritto Andy Carvin al lancio di Reported.ly. Concetti e visioni che a l’Unità restano totalmente oscuri, pare.
La sottile ma NON trascurabile differenza tra essere online ed essere parte della Rete. La linea di demarcazione tra il successo e il fallimento.