Anna Lombroso per il Simplicissimus
Non si sa perché questo Paese ha paura di certe parole, considerate retoriche, o forse troppo impegnative per via di quella evidente inclinazione all’accidia pigra o a causa dell’aberrante stravolgimento semantico cui ci hanno abituato. Per il quale si va in guerra per esportare democrazia.
Così ho gradito la precisazione di Vendola: “Ho semplicemente criticato un’idea che nel vecchio Pci era abbastanza consolidata, che all’interno del partito bisognasse essere compagni ma non necessariamente amici”.
In un certo senso ha ragione, serve chiarezza soprattutto laddove ai cittadini si preferiscono i consumatori, agli elettori gli utenti, agli amici gli affiliati e ai compagni, appunto, i fedelissimi.
Ma quello che non fa la Crusca forse lo dobbiamo fare noi, tutelando certi termini che hanno rappresentato molto, perché erano compagni quei due eroi approssimativi nel film di Monicelli ma erano compagni quei ragazzi che andarono in montagna e i morti di Reggio Emilia e tutto sommato, è il 14 luglio, anche i “cittadini” e quelli curati dalla mani brune di Jeanne Marie, là nella Comune di Parigi.
Dal dizionario Treccani. Compagno (latino medievale): insieme con, “colui che mangia il pane con un altro”.
Si tratta di un termine antico, parla di condivisione, fratellanza, evoca com-passione e solidarietà. E si tratta di un sentire ancestrale condannato ad essere relegato con altri vecchi attrezzi della soffitta della storia. Come destra-sinistra, centro-destra, centro-sinistra.. modi di guardare alla realtà e alla politica geometrici più che spaziali o temporali. E di conseguenza antiquati per chi ha a cuore un certo dinamismo iperattivo e per chi dà valore a una allegra e dissipata confusione nella quale tutto è uguale ma non equo, tutto è ammissibile, tutto è lecito anche l’illegalità.
Per questo dobbiamo salvare certi principi e certe parole da questa politica semplificatrice, di basso respiro e piccolo cabotaggio, fondata su paura, sospetto, diffidenza, che preferisce le scorciatoie discutibili all’impegno, allo studio e alla conoscenza, che attribuisce valore alla competitività, alla prevaricazione e all’approssimazione, che non ama il respiro lungo del futuro, ebbra dalla ricerca del consenso immediato e superficiale. E che per sopravvivere ha saputo creare culture conflittuali, identità che cercano il “concorrente” per consolidarsi. A questa politica che non ha strumenti per leggere la complessità e insegue il presente balbettando slogan, non può piacere una visione d’insieme, non interessano le idee che rappresentano valori. E non vuole l’orientamento che viene da stelle polari illuminate e morali.
Questa grande marmellata mischiata artificialmente è riuscita a neutralizzare la sfera dell’agire collettivo, a diluire l’antagonismo destra sinistra in modo da favorire la spoliticizzazione. È cambiata la dicotomia essenza del politico (quella di Schmitt per intenderci) quella di amico- nemico come conflitto di categorie politiche, trasferendolo sul piano civile, professionale, commerciale. E trasmettendo invece l’immagine di un gran miscuglio indifferenziato di pulsioni molto mobili che però si ricongiungono intorno agli interessi delle caste, delle cricche, dell’oligarchia.
Compagni? Sodali? Amici? condizioni arcaiche, passioni antiquate, certo, se i valori sono quelli dell’affiliazione, quando si riconoscono come virtù l’appartenenza , la fedeltà cieca, l’affidabilità. In modo da nascondere una combinazione feroce di competizione e servilismo, sopraffazione e prepotenza, e nella quale padroni e sottoposti sono legati da un vincolo di corruzione e dipendenza, regalie e intimidazioni, complicità e minacce.
Ma come potremmo invece chiamare quelli che ritengono decisivo disegnare grandi radiose visioni del futuro, che vogliono rendere concreti i valori di fraternità e umanità, i bisogni di “amicizia” e di condivisione, di equità e giustizia, se non compagni.
A quelli che tutte queste aspirazioni le vivono in modo più sobrio, più “futurista” e più innovativo suggerisco di sostituire a “compagno” il termine coniato da Trockij: “poputcki”, pensato per definire simpatizzanti tiepidi e sostenitori esterni alla causa, meno motivati. Forse, più modernamente, indifferenti.