Nonostante la sua importante e indiscutibile funzione protettiva nei confronti dell’ambiente, la valutazione d’impatto ambientale (c.d. VIA) resta pur sempre un’autonoma autorizzazione di livello sub-procedimentale nell’ambito di altri (sovra) procedimenti amministrativi, quelli che sono appunto volti al rilascio di autorizzazioni all’approvazione di progetti di determinate opere e/o interventi ricadenti sul territorio, e che la VIA si limita a guardare dal suo punto di vista ambientale.
Come correttamente rilevato da Consiglio di Stato, sez. V, n. 5294/2012, la VIA ha “il fine di sensibilizzare l’autorità decidente, attraverso l’apporto di elementi tecnico scientifici, idonei a evidenziare le ricadute sull’ambiente derivanti dalla realizzazione di una determinata opera”.
Com’è evidente, il ruolo della VIA è quello di fornire al procedimento cui afferisce “un forte vincolo procedimentale”, che “non determina però l’automatico diniego di autorizzazione in caso di valutazione negativa, che può essere superata con determinate procedure e con adeguata motivazione”.
Sebbene una recente censura di incostituzionalità (sentenza Corte Costituzionale n. 179/2012) abbia, almeno in parte, bocciato il meccanismo di superamento del dissenso previsto dalla legge 241/1990 (che prevedeva, come regola, il coinvolgimento di un’amministrazione sovraordinata – Regione o Presidenza del Consiglio – in caso di dissenso di un’amministrazione anche ambientale) resta valido il principio accennato, che cioè anche un dissenso “ambientale” può essere superato e l’opera da cui si dissente ugualmente realizzata.
Al tempo stesso, va detto che l’autorizzazione finale “potrebbe essere negata in ipotesi di VIA favorevole”. Ciò comporta che la VIA positiva non è, dunque, di per sé idonea a esprimere un giudizio definitivo sull’intervento, reso possibile solo dal rilascio dell’autorizzazione: “una pronuncia favorevole non è idonea a imporre un “indirizzo ineluttabile” alla conclusione del procedimento e all’adozione del provvedimento conclusivo”.