venerdì 25 gennaio 2013 di L'Abattoir
di Alessandra Cauchi
Molti palermitani, come molti altri italiani, decidono puntualmente di prestare servizio presso i seggi elettorali come scrutatori, presidenti o segretari di sezione. Si tratta di persone di ogni età e ceto sociale, che scelgono deliberatamente di sacrificare un week end di riposo pur di rimpinguare le ormai sempre più magre entrate.
Stiamo parlando di spiccioli, sia chiaro, soprattutto se rapportati alle ore di lavoro che vengono impiegate.
Per mio conto ho ricoperto per ben due volte (consecutive) l’onorevole carica di presidente.
Tralasciando il fatto che si sa quando si comincia, ma non si sa affatto quando si finisce, ritengo che le responsabilità penali nelle quali si può cadere siano davvero sproporzionate. Con annesse e connesse le conseguenze che possono ledere coloro i quali (come me) sono iscritti ad un qualsiasi albo professionale o abbiano intenzione di partecipare ad un concorso pubblico (come me, appunto).
Ma nonostante queste premesse, mi sono detta “oggi come oggi, tutto fa sostanza!” e ho accettato, anche se il gioco non vale la candela.
E non sono stata la sola a pensarla così: alle ultime elezioni regionali, nel solo Comune di Palermo, sono stati ben 12.000 gli aspiranti scrutatori.
Ma lasciamo stare tutti questi fatti. Andiamo alla parte clou della cosa. Il compenso.
Però prima di raccontarvi la mia esperienza personale, desidero notare come ancora nel 2013, con Internet che domina le nostre vite, ai tempi dell’home banking, la “paga” non venga accreditata telematicamente (come per altro veniva fatto qualche anno fa). No, bisogna aspettare che il Comune di Palermo pubblichi online (quanto meno qualcosa di moderno c’è) le date e le sedi delle banche dove poter ritirare il denaro.
Quindi, in pratica, non solo per quattro soldi uno fa un lavoro che andrebbe pagato a peso d’oro, ma è necessario anche sudare un (altro) po’ per “conquistarsela” questa benedetta ricompensa, lasciando stare il fatto che i lavoratori dovranno chiedere almeno mezza giornata di ferie. Proprio come me, nel caldo agosto del 2012 dopo le elezioni comunali e così come di recente per il pagamento relativo alle regionali che si sono svolte lo scorso ottobre.
L’iter per ritirare il frutto della propria fatica è più o meno lo stesso. Ci si alza all’alba per paura di trovare già diverse persone in attesa davanti la banca preposta al pagamento.
Una volta arrivati in loco, si domanda come funzioni il turno, ovvero se sia fisico oppure se la banca fornisca il numerino da salumiere. Ma la sorpresa sta nel fatto che non troverai niente di tutto questo.
Ma molto, molto meglio.
I tuoi compagni di ventura o una bene informata guardia giurata della banca ti risponderanno: niente numeretti, ma… c’è quel signore (o quella signora, a seconda del caso) che può scrivere il tuo nome in un elenco. Rincuorato, quindi, ti rivolgi a questa persona, che effettivamente ti mette a turno. Tuttavia questa gioia momentanea viene fatta in mille pezzi al suono di questa odiosissima frase: “se poi mi vuole offrire un caffè…”.
L’ultima volta che ho ritirato il mio sudatissimo compenso, ho chiesto di proposito al metronotte della agenzia se la signora lavorasse per caso per la banca. Ma la risposta è stata più che eloquente: “la signora non lavora da nessuna parte, fa volontariato”.
Forse, solo nella prima parte della frase c’era del vero.
Ma quando ti accorgi che il volontario o la volontaria parlano con la guardia giurata dandosi del tu, il quadretto è completo.
A parte rare eccezioni, tutti, una volta usciti con il “premio” in saccoccia, doneranno un euro al “regolatore di fila” che si farà trovare con la manina protesa nell’atto di ricevere il suo di compenso.
Però, mentre attendi, tutti si lamenteranno che non ci sono bigliettini e che il volontario barra regolatore di turno abbia un ordine tutto suo.
Per esempio, potrà capitare che persone mai viste nelle interminabili ore prima siano in pole-position, vale a dire che avranno il placido bene stare dell’uomo-turno per infilarsi zitte zitte tra quelli in procinto di raggiungere lo sportello. Con buona pace di chi aspetta il proprio turno, con santa pazienza, dalle prime luci dell’alba.
Ecco, io vi ho raccontato i fatti così per come sono andati. Ma lasciatemi fare le mie considerazioni, lasciandovi liberi poi di fare le vostre.
In primo luogo, questo sarebbe facilmente risolvibile se il Comune di Palermo tornasse ad accreditare direttamente su conto corrente quanto è dovuto per il servizio svolto.
In secondo luogo, reputo alquanto “sospetto” il fatto che non siano impiegati strumenti per automatizzare il turno in nessuna delle agenzie preposte a espletare questo “servizio” per conto del Comune.
Inoltre, anche se di fatto non sussiste alcuna rilevanza penale nel donare al “volontario” un euro, perché è dato spesso di spontanea volontà, io mi chiedo però come sia possibile che coloro che, per tutto il periodo dei pagamenti, esercitano questa “attività di mettitore a turno” agiscano indisturbati e, per di più, alla luce del sole e anzi certe volte sembra quasi vengano agevolati.
Oltretutto questo avviene in un periodo in cui tutti i cittadini (quelli onesti) sono continuamente vessati da tasse e contro tasse, con le relative pesanti sanzioni derivanti da una seppur piccola inadempienza.
Calcolatrice alla mano, se moltiplichiamo circa un euro a testa per tutte le persone in elenco ogni giorno, per tutto il periodo dei pagamenti (solitamente un mese o poco più), ne verrà fuori che il guadagno – se così possiamo chiamarlo – è tutt’altro che misero, oltre ad essere, manco a dirlo, esentasse.
Poi, è ovvio che “la selezione” di questi dubbi personaggi sia tutt’altro che casuale, poiché, lo sappiamo, a Palermo non è il primo che capita che si può mettere a “gestire” certe somme.
Ma un’altra cosa mi sembra sconfortante più delle altre. E cioè che la quasi totalità dei palermitani davanti a questi episodi – nonostante gli innocui rummulii – accetti a capo chino certe “antiche usanze” e si pieghi ad offrire il caffè a questo genere di personaggi. Alla faccia degli slogan contro il pizzo, che larga parte della cittadinanza fa propri.
“Calati juncu ca’ passa la china”, diceva un detto popolare, che Sciascia cita in Nero su nero.
Sono perfettamente consapevole che quanto ho appena raccontato e fatto notare non di certo è lo scoop dell’anno, ma che si tratta anzi di una delle solite e innumerevoli storie scritte sulle pagine di Palermo, piena di parcheggiatori abusivi, posti di lavoro venduti, e così via.
È vero, capita ogni giorno.
Ma questo davvero vuol dire che ciò sia giusto o che questo corrisponda a quella fantomatica “dignità”?
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