Isfahan, 19 maggio 2014
Sono quattro giorni che, più o meno interrottamente, passiamo il tempo a tavola martellandoci con la stessa domanda: ma gli iraniani saranno felici?

Punti definiti che, al tempo del piatto principale, ci sentiamo di sostenere:
- le persone, qui, appaiono parecchio meno tristi di quanto certa stampa internazionale possa lasciare intendere, basta guardarli negli occhi;
- tutti, maschi e femmine, nelle città che abbiamo attraversato, dicono di avere l'opportunità, con qualche (molti!) sacrificio di terminare gli studi, iscriversi all'università e farsi una famiglia;
- se è vero che la natalità di un paese è un buon barometro del tasso di soddisfazione e felicità generale, ci raccontiamo, allora gli iraniani... Il 50% della popolazione, dando retta all'immancabile Lonely Planet, ha meno di 30 anni e il nucleo familiare è spesso composto di 6-8 persone;
- c'è spesso il sole, tutto sommato si mania discretamente e non abbiamo mai notato quel retrogusto amaro di invidia nel parlare con decine di locals, più un genuino interesse e la voglia di parlare per ore in inglese per capire come si vive lontani dallo scià;
- "People are different Of government", ripetuto in ogni dove;
Al momento del the (qui il caffè è raro quanto una birra vera!), complice la pancia piena, la bella vista sulla seconda piazza più grande del mondo e il sorriso compiacente del padrone del ristorante che ci insegue sull'uscio per assicurarsi che tutti abbiamo il biglietto da visita del locale, ci sentiamo ottimisti.

Poi incontriamo Mohammad (il nome, come spesso accade in questi casi, è di fantasia), un signore di 40 anni, di mestiere perito chimico, vissuto per qualche anno ad Atene e ora tornato in patria ad accudire la vecchia mamma.La sera la passa davanti alla TV a guardare giochi a premi sulla RAI e le ricette di Antonella Clerici, "per imparare lingua", racconta in un italiano da applausi. Una padronanza della nostra lingua, viene da pensare, di gran lunga migliore di quella di migliaia di immigrati che da anni vivono nelle case di fianco alla nostra.

Non è sposato ("mi sono dimenticato", sorride un po' malinconico), fuma mezzo pacchetto di sigarette al giorno e ha il polso aritmico, come mi tocca constatare dopo avergli confessato che faccio il dottore.Sogna di incontrare all'ombra del portale della splendida moschea di Isfahn, una turista europea, magari italiana, innamorarsi un po' e scappare con lei nel vecchio continente. Anche se ci sono la crisi e i politici corrotti in giacca e cravatta che gli raccontiamo imbarazzati.Ha una camicia azzurra a maniche corte, scarpe da ginnastica e una penna nel taschino come un ingegnere.Ci fa sentire in pochi minuti piccoli, inutili e privilegiati.Gli offriamo una tazza di the per fare due chiacchiere e in cambio riceviamo origano e una scatola di dolci tradizionali.

Il tempo vola, le parole anche; scende la sera tra le viuzze di questo bazar al centro della "Repubblica Islamica dell'Iran", così lontana dai suoi abitanti. Tutto intorno è un po' meno paradiso di prima, quelle sopra, un sacco di cazzate in elenco.
Ci scattiamo una foto insieme, lui verifica più volte di aver scritto giusto sul suo taccuino i nostri indirizzi mail e ci salutiamo con una stretta di mano lunghissima e silenziosa.
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