Leggo in un romanzo un passaggio riguardo ai figli che trovano in un modo o nell’altro la via per contrapporsi ai genitori, se non di ribellarsi, il che costituisce una fase inevitabile della crescita. Per me e per molti della mia generazione e di quelle contigue è stato fin troppo facile trovare i punti di rottura anche solo provvisori, che poi alcune ferite oggettivamente irragionevoli si sanano altre, giustamente, hanno conseguenze e restano come monito, le cosiddette cicatrici, o nel peggiore dei casi si infettano purulente dando luogo a secrezioni che ti inondano la casa, dio che schifo, tanto che poi fai prima a dartela a gambe che a gettarti in quel magma per mettere in salvo gli altri. Ma ora è diverso, no? Se metti a disposizione di un figlio una opzione e il contrario della stessa rendendo plausibile cioé anche la versione alternativa alla via corretta, lo so sto parlando troppo genericamente ma preferire non entrare nei dettagli. Se gli/le dimostri che ci sono due possibilità entrambe accettate e riconosciute dal diritto naturale della microsocietà famigliare cui appartiene, e si tratta di un bipolarismo in grado di coprire l’intera gamma dei comportamenti dal più tradizionale al più scavezzacollo, e mettiamo che il figlio capisce che di là ci sono solo alleati e che nessuno è nemico, perché un nemico non ti offre una via di fuga. Ecco, poi uno/a cresce e a cosa si ribella? Posso considerarmi tutelato? La mancanza di scontro può essere deleteria? C’è un dottore in sala?
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