A giorni prendo gli occhiali nuovi. Sono stata dall’ottico, e più che stare a decidere di montature e lenti, sembravo al mercato del pesce a trattare di prezzi, sconti, possibilità innovative e marketing in generale. Il ragazzo era giovane, abbastanza sveglio, preparato, e’ rimasto molto colpito dalle mie richieste dirette, decise, assertive. Ho riso molto, lui aveva gli occhi limpidi e trasmetteva molta solarità. Ha provato a fregarmi, ma abbiamo trovato la soluzione migliore – tanto i commercianti l’arte a perdere non la fanno mai, perché prenderci in giro a vicenda se si può arrivare a un compromesso?
Mi è successo questo negli ultimi tempi: non avere più voglia di inutilità, le preziosità, gli accostamenti stilistici di matrici sofisticate.
C’è da dire che sono arrivata all’essenza delle cose, l’utilità del gesto dato e ricevuto, con o senza acquisto. Il resto mi annoia.
Ho avuto sempre grandi pregiudizi per le grandi catene di acquisto. Sono da sempre una che ha fatto del libero arbitrio un’arma di difesa bella e buona. Quando mi trovo ad Ikea, per fare un esempio, entro sempre in conflitto coi box delle buste gialle, quelle messe a disposizione in ogni angolo, li odio, e mi chiedo dove siano piazzate le telecamerine che osservano i nostri comportamenti tanto che tra un po’ passo più tempo a guardare per aria che i prodotti che non mi piacciono.
Col web è venuta meno la resistenza, ahimè, scoprendo, in alcune lezioni di marketing del prodotto culturale, quanto la virtualità sia per noi sette volte più dannosa poichè ci rende esposti alla contaminazione/manipolazione rispetto a una comune pubblicità televisiva. Mi sono arresa.
Sommando le ore che ognuno di noi passa sul web, ancorati anche dai telefonini, le aziende che non si adattato alle nuove forme di comunicazione andranno a fallire nel breve periodo, poiché siamo completamente rombecilliti dalla ripetizione sponsorizzata di campagne social.
Ho seguito vari seminari a tema, on e offline, buona parte non fa altro che dire che la nostra predisposizione futura è nel visuale. In effetti basta fare un giro sui vari network per capire quanto il potenziamento dello storytelling sia raddoppiato anche per l’uso di un inutile video dedicato a un gattino.
Tra le pagine che amo di più su Facebook – che ho scoperto di recente – c’è “Tasty” – una piattaforma junk food rapida, indolore ed estremamente creativa.
Mi chiedo spesso dove il nostro tasso di infelicità possa arrivare seguendo queste vie, non deve essere facile uscire da questa gabbia virtuale, oggi. Mancare dal web vuol dire essere tagliati fuori dagli eventi. Del resto questo è il sistema dei sistemi.
Penso sia più drammatico essere tagliati fuori dalle risate che sovraesposti ed eccitati dal tasto mi piace, ricevuto e dato, ai poveri d’animo, quelli che risollevano il proprio ego aggiungendo gente su gente (possibilimente amici di amici noti), taggandosi da soli nelle proprie foto o da chi passa a osservare chi fa cosa giusto per dire “oh, metto un mi piace che almeno ho visibilità nella cerchia di chi ha più successo, così mi vedono, associano, mi contattano perché fa figo e mi sento più sollevato”.
Ho riso davvero quando mi hanno raccontato questo processo di scambio.
Leggevo proprio oggi di artisti che ripulivano il loro account per i furbi che si muovevano a questa maniera, si appropriavano dei loro contatti.
A volte mi sento un’extraterrestre in mezzo a tutto questo. Una commedia paradossale che sfocia inspiegabilmente in un crimine del quale non si riescono a spiegare in modo lucido le dinamiche. Potrei impazzirci tanto bella la diversità, la divergenza di pensiero.
A volte rido anche per quegli artisti che decidono di rimanere fuori da questi processi. Mi chiedo se siano davvero consapevoli del danno che causano a loro stessi, in primis perche’ non sperimentano l’uso dei linguaggi contemporanei in funzione della loro immagine.
Quanti hanno un ufficio stampa?
Spesse volte sento dire che tutto questo sottrae tempo al loro fare poetico o filosofico, e rido (ancora). Sono sempre on line, accidiosi come me, che lavoro concretamente con questo schifo di apparati.
I più giovani dovrebbero imparare velocemente, poiché risorsa. Negli Stati Uniti, Hans Ulrich Obrist ne ha fatto un vero progetto di analisi contemporanea su chi è nativo digitale selezionando le generazioni nate dopo il 1989. In effetti, se ci si pensa, il loro modus è nei codici digitali/virtuali.
In Italia siamo sempre sulla preistoria, però coi telefonini siamo bravi (soprattutto ad acquistarli).
Sono anche convinta del fatto che il disegno non sara’ mai abbandonato, poiché segno concreto, nato da un gesto istintivo non mediato (almeno da uno schermo fluttuante).
Penso allo spot (geniale) lanciato da Apple per il loro IPad in cui la sottigliezza del tablet era paragonata a quella di una matita. È subdolo, se ci si riflette, a come si costruisce il consenso, il bisogno che costa il triplo, quadruplo, quintuplo, di una risma di fogli A4 e matite Faber Castell messe assieme.
Si puo’ arrestare il processo di innovazione?
Mai.
Del resto qui si è oscillati in una lettura tra marketing e comunicazione che vi ha portato a vedere tutto per vostra curiosità, su un blog privato, ad accessibilità pubblica illimitata.
Rifletto su questa parte.
Sono le 01.37 . Oggi (27 ottobre) e’ il compleanno di una cara amica che vive in Germania.
Il cane russa beato. Io ho dato voce a un testo frutto di una pulsione seminotturna.
Non rileggo, scrivo da cellulare.
Potrei andare a dormire, ma azzarderei una lettura.
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