”Io Mi Gioco Tutto”, ma non al casinò di Sanremo. Basterebbe il palco della cittadina ligure.
Nel suo ‘piccolo’ Mimmo Parisi è un protagonista del 2013, lo dicono le varie segnalazioni della rete. Molti aficionados gli hanno regalato il loro affetto e lo sentono come riferimento in termini di energia e onestà artistica. L’ho raggiunto telefonicamente.Mi ha raccontato la sua versione dei fatti, l’unica che conta, spiegandoci come sono andate le cose durante questi mesi che lo hanno visto pregno di pubblicazioni.
Mimmo, hai vissuto molti momenti positivi durante la tua carriera, ma questa mi sembra davvero un’annata magica.
È la più straordinaria di sempre, specialmente per quanto riguarda la possibilità che ho di mettere alla portata di buone orecchie le idee che si tramutano in canzoni… sonanti, visto che non è possibile tramutarle in monete sonanti, e poi, dai, ‘sonanti’ ci sta meglio abbinato a ‘canzoni’ no? Scusa se ironizzo, ma è una mia caratteristica. Comunque, sono davvero molto felice.
Cosa più ti ha gratificato di questo straordinario 2013?
Il fatto che la mia produzione sia stata gradita. Era una scommessa. All’inizio il mio esiguo team era perplesso,eravamo impauriti dal fatto che gli ascoltatori potessero non dare molta attenzione alle canzoni che ho pubblicato. La mattina dopo la prima messa in rete di “Quando Non 6 Totti O Ligabue”, il mio primo album da solitario, erano proprio agitati, mi dicevano «guarda che il pubblico ha un sacco di canzoni nelle orecchie, non aspettarti niente». Ma io credo che il pubblico sia più maturo di quello che loro pensavano. Sapevo che se fossi riuscito a trasferire loro la passione che ho messo dentro la musica delle mie canzoni, anche se sconosciuto potevo aspettarmi un minimo di riscontro. Così è stato: grazie a tutti!
È andata bene fin dai primi giorni e con il tempo l’ascolto è cresciuto. Perché non c’è dubbio che si trattasse di un album molto ragionato, su cui ho riflettuto a lungo. Avevo una sensazione dentro che volevo trasferire al pubblico e mi stava bene prendere dei rischi per riuscirci. Non mi spaventava l’idea di mandare allo sbaraglio i pezzi del mio primo e nuovo album, nella più deficitaria delle ipotesi, cosa avevo da perdere? Ovviamente fossi stato Grignani o comunque uno avviato alla grande le cose sarebbero state diverse: ci sono più pressioni.
Quale sensazione volevi trasferire alla gente?
Volevo che il pubblico s’imbarcasse in un viaggio a bordo di una navicella spaziale, staccandosi dalla terra con tutto quello che questo comporta. Qualcosa di attinente con l’attualità comunque, la comunicazione è molto importante per me. In giro c’è molto rumore di fondo, le notizie ci confondono, quindi è bene usare dei testi frammisti tra eloquio e, passami la parola, filosofia. Un viaggio verso un territorio lontano, che parte dal buio per raggiungere la luce per me prevede anche l’uso di un parlare quotidiano. Che poi non è nient’altro che il percorso di un essere umano verso la libertà. Come il viaggio di Ulisse, quello di Dante nellaDivina Commedia e persino di Luke Skywalker nella saga di Guerre stellari.
La stessa storia però raccontata con un altro linguaggio.
Esatto, con il linguaggio della voce cantata e della stratocaster e della modernità. Mi piaceva l’idea di inscenare un viaggio in versione pop/rock, con tanti stimoli diversi. Non volevo stare al centro dell’attenzione per predicare o pontificare.
Della parola “pop” oggi abbiamo diverse interpretazioni. Per te cosa significa?
Per me il pop è David Bowie, è Michael Jackson. Spesso si parla di musica pop e si intendono progetti come quello di Britney Spears o Katy Perry, senza nulla togliere a loro che confezionano prodotti eccezionali. Però io sono cresciuto con un’altra idea: per me un disco pop è il primo dei Velvet Underground. I Beatles erano pop e oggi lo sono i Chemical Brothers e Dead Mouse. Anche Lady Gaga naturalmente. Pop è tutto quello che interpreta lo spirito del momento senza rinunciare a indicare una nuova via.
È un tema che meriterebbe ampio spazio, ma voglio tornare al presente: “Io Mi Gioco Tutto”. Dicci qualcosa su questo brano, magari anche cosa è costato, a volte i lettori si incuriosiscono per queste cose.
Certo. È una produzione normale rispetto agli standard, abbiamo speso il 5% in più di quanto si faccia mediamente per una autoproduzione di ottimo livello. Ma solo perché ho acquistato un nuovo programmino che mi ha aiutato per il mastering.
Quindi non hai investito moltissimo per questa song, e non mi riferisco solo all’aspetto economico. Che cosa chiedi a un brano?
Io sono fermamente convinto che sia il momento più importante per un artista, perché con una canzone, che tu lo voglia o meno, determini il legame con il pubblico. Quando compro un cd (ho la passione per il materiale originale, prodotto dalla casa discografica dei… che so, Malmsteen, ad esempio), pretendo il massimo: se non lo trovo come dico io esco deluso, è difficile che riesca a mantenere un vero rapporto in futuro con l’artista. Se una canzone non mi convince, poi stranamente non mi piacciono neanche i dischi dello stesso progetto. Come ascoltatore/fruitore sono molto esigente, per cui naturalmente lo sono anche riguardo ai miei cd (ovviamente non posso gareggiare con una major, però…). Cerco sempre di realizzare il meglio che posso, ci metto tutto me stesso fregandomene dei rischi. Per quanto riguarda il significato contestuale del brano, “Io Mi Gioco Tutto” è riferito a un rapporto a due burrascoso dove lui non ha altri progetti nella testa se non quello con la propria ragazza che ama alla follia. Tuttavia lei è presa dalla gratuità della cosa e sottovaluta l’affetto generoso che il suo ragazzo le offre tutti i momenti della sua vita. Oggi non si è più abituati a queste cose e lui, si scusa addirittura di chiamarla “amore” e si sente banale perché la pensa “per ore”!
Prima di tutto ci tengo a dire che gli U2 con Acthung Baby hanno fatto un lavoro straordinario. È un disco incredibile, ricordo benissimo che già dalla copertina avevo capito che avrebbe cambiato la mia percezione della musica. Tornando a me, sicuramente in testa concettualizzo con gli stessi criteri.
Ci sono delle novità per il prossimo tempo che verrà?
Mah, penso di avere l’equilibrio giusto per consentirmi di fare cose nuove ancora per tanto tempo, vedremo. Proprio perché sono solo e senza fiati sul collo, io ho la libertà di rinnovarmi, di essere ogni volta completamente diverso. Anche se cambiassi genere, alla fine si tratterebbe solo di questo, rimarrei comunque sempre Mimmo Parisi che si espone nel bene e nel male nel mondo. Penso ai tempi teatrali: non si cambiano le battute quando si porta in scena una commedia, ma gli attori e il loro stile sì, quello si può fare. Gli attori ripetono lo stesso copione come se fosse l’unica volta e se sono bravi anche il pubblico ha l’impressione che sia così. Io cerco di fare in modo che i miei brani funzionino in questo modo, anche perché ogni pubblicazione vivo sensazioni completamente diverse e quindi trasmetto alla gente qualcosa di completamente diverso.
Alcuni artisti invece fanno del continuo cambio di genere una religione.
È un altro tipo di porsi, che mi piace altrettanto. L’ho proposto anche io, nel privato. Qualche volta è successo che salivamo sul palco senza avere alcuna scaletta. I ragazzi della band erano un po’ perplessi all’inizio, ma poi è andata bene. Decidevamo pezzi sul momento in base all’energia che percepivamo nell’aria.
Se fossimo in America, magari potresti essere «lo Springsteen italiano». Ti riconosci in questa definizione?
Sinceramente mi sembra un po’ esagerata. Questi paragoni bisogna sempre prenderli con le molle. Probabilmente un certo atteggiamento potrebbe far pensare a una cosa del genere. Ma credo che Springsteen condivida con me giusto il segno zodiacale! (forse, dico così perché è assolutamente, per colpa mia ovviamente, avvicinarci). È l’unica cosa che mi viene in mente oltre al fatto che sono un suo grandissimo ammiratore. Il Boss offre concerti meravigliosi e scrive canzoni pazzesche!
Beh, sì, io intendevo il tuo approccio ai concerti. Mimmo Parisi e Springsteen hanno in comune il sudore sul palco.
Spero che sia cosi. Lui è sempre stato un esempio per me, un punto di riferimento come performer. Pensa che se vai a un suo concerto e non conosci neanche una canzone non c’è problema, ti stende lo stesso.
Parliamo anche della tua sensibilità sul sociale? A questo proposito, mi sembra che ultimamente in Italia anche gli artisti più attivi in questo ambito stiano evitando di esporsi. Non è il momento?
Abbiamo un grosso problema: qualunque posizione tu prenda, diventa una posizione estremista. Sostanzialmente Berlusconi è riuscito a creare una spaccatura netta, chi è con lui e chi è contro, e quindi un artista rischia di essere strumentalizzato ogni volta che parla. Se io esprimo un concetto e questo diventa uno strumento di propaganda politica, non conta più niente. Diventa una pubblicità. Okay, questo l’abbiamo capito. Tuttavia bisogna insistere, non è che se sei Ramazzotti ti puoi limitare a dire che sei di sinistra di idee, e di destra come conto in banca. Lui ha tutta la mia simpatia, però, per favore cantanti strafamosi fate qualcosa, io nel mio piccolissimo cerco sempre di aprire con molta civiltà gli occhi a quelli che dicono “a me non interessa la politica”, ma lo sanno che quando comprano il pane è proprio la Politica che ha deciso di farglielo pagare quel prezzo, alto o basso che sia?
Credi che gli artisti possano ancora sensibilizzare le persone?
Ci credo ancora di più. Ma è molto importante il modo in cui si dicono certe cose. Anche perché siamo bombardati di notizie e rischiamo la saturazione. Io per primo, quando ascolto della musica, voglio qualcosa che mi porti da un’altra parte con la testa. Fino a qualche tempo fa una canzone poteva parlarti di un certo argomento in anticipo su tutto e tutti, oggi oltre ai media ci sono i social network e il web in generale. Non bisogna pensare che gli artisti siano impauriti. Io per lo meno non ho paura di mettermi in gioco, non me ne frega niente, l’ho sempre fatto. Cerco solo di essere efficace.
Cosa dobbiamo cercare nella musica?
Quello che manca al resto delle informazioni che ci arrivano al cervello: l’emozione. Abbiamo bisogno di staccare per affrontare la vita e nel ritmo, nell’energia che sprigiona la musica possiamo trovare il nutrimento che ci serve. Se ascoltiamo un disco, o assistiamo a un concerto, e ci arrivano le stesse cose che leggiamo sui giornali, o in rete, siamo nella merda.
Mimmo, hai mai pensato a cosa farai dopo? Intendo quando smetterai di fare musica.
A dire la verità no. Non credo nei ritiri o in cose simili. Come fai? Ti ritiri da essere umano? Una persona creativa ha l’esigenza di esprimersi fin da quando è bambino e non può smettere. Non penso mai al futuro, non mi piace, per me il futuro non esiste. Non so neanche se sarò vivo fra due ore, come faccio a pensare al futuro? Cerco di vivere ora, adesso. Se poi mi si dovesse seccare la lingua allora, che ne so, comporrò canzoni per altri. O forse scriverò guide per viaggiatori.
Un pensiero sulla vita.
Mah, la vita è una sola e io cerco di sfruttarla al massimo facendo meglio che posso il mio lavoro, che consiste nel mettere tutto dentro una canzone. Non c’è niente di più importante per me, per la mia forma mentis, voglio dire. Ancora oggi le canzoni sono uno degli strumenti più potenti per far stare insieme le persone, per fargli vivere delle emozioni. Io vedo l’effetto che la musica ha su di me: provo lo stesso piacere di quando avevo sedici anni, anzi è ancora meglio perché conosco molte più cose. Direi che per adesso l’idea di smettere proprio non mi sfiora. In fondo, ho appena cominciato.
Foto di: Jenny
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