Il boss della mala del Brenta è libero. I dubbi di Zornetta, giornalista veneziana, sul «pentimento»
Ora che Felice Maniero, il boss della mala del Brenta, è tornato libero, un libro torna a interrogarsi sui risvolti oscuri del suo pentimento di 16 anni fa. Lo ha scritto una giornalista veneziana, Monica Zornetta, si intitola La resa – Ascesa declino e «pentimento» di Felice Maniero ed è edito da B.C. Dalai.
Già quelle virgolette intorno alla parola «pentimento» indicano il taglio del libro, che lascia aperti più interrogativi di quanti risolva. Né poteva essere altrimenti, perché come era successo più o meno negli stessi anni in cui Felicetto impazzava nel Veneto orientale con la banda della Magliana, oscuri sono rimasti e restano molti contatti sotterranei, magari sfociati in indicibili accordi.
«Faccia d’angelo», come, mutuando il soprannome dal gangster portato sullo schermo da Alain Delon in Le samourai di Jean-Pierre Melville (titolo italiano, Frank Costello, faccia d’angelo, appunto), era stato ribattezzato Maniero, è «in libertà», soggetto a cinque anni di sorveglianza speciale, dal 23 agosto scorso, dopo aver scontato 17 anni dei 25 cui era stato condannato per associazione mafiosa, grazie alla sua collaborazione con la giustizia, che ha permesso di smantellare tutta o quasi l’organizzazione criminale di cui era a capo. Non tuttavia di recuperare – a parte i beni immobili a lui direttamente riconducibili – il «tesoretto» miliardario che avrebbe accumulato in due decenni di malavita. Nel suo curriculum, oltre a qualche omicidio (quasi tutti per mantenere intatto il proprio potere o il controllo sul territorio) figurano colpi miliardari, come le clamorose rapine al Casinò di Venezia o all’Hotel des Bains del Lido, traffici internazionali di droga e di armi, estorsioni, ricettazioni, società occulte con Cosa nostra e Camorra.
Un fiume di denaro le cui tracce si sono perse all’estero – anche per alcuni strani errori investigativi – dove Felicetto si recava tranquillamente, con tanto di morosa al seguito, anche nei periodi di latitanza, magari tra l’una e l’altra delle due clamorose evasioni da carceri ritenuti di massima sicurezza, Fossombrone e il Due Palazzi di Padova.
La Zornetta getta una luce nuova su pagine che sembravano chiuse. Sugli aiuti che Maniero riceveva da esponenti delle forze dell’ordine (carabinieri in primis, come il maresciallo Angelo Paron, del Ros di Padova, uomo di fiducia del generale Giampaolo Ganzer, ma anche poliziotti e guardie penitenziarie, come nell’evasione di Padova). Sulle confessioni a rate e sulle «trattative», con strani permessi, che potrebbe avergli consentito di mettere al sicuro il suo tesoro. In gran parte custodito all’estero, secondo le dichiarazioni in un’intervista, uscita postuma, al suo «gestore di fiducia», Mario Artuso.
Insomma, in queste pagine emerge forte il dubbio che la «resa» di Maniero nell’autunno 1994 sia stata nei fatti anche una «resa» dello Stato, costretto a scendere a patti con le mafie. In Sicilia, come in Veneto.
Giancarlo Beltrame
Fonte: l’Arena