Con il cyberbullismo non si esagera...purtroppo.

Da Roberto Romano
Ho appena finito di leggere un articolo di Mariangela Galatea Vaglio, dal titolo Cyberbullismo: non è che stiamo esagerando un po'?, che mi ha un un po'...sconcertato per la leggerezza con cui il problema è affrontato. Nell'articolo l'autrice, partendo dall'errata diffusione dei dati di un'indagine di Save the Children (Occhio al Web!" ne ha parlato qui), sostiene che il fenomeno di per sè è piuttosto limitato, se non altro perchè "nel nostro paese la diffusione di internet è ancora abbastanza bassa"; che il problema alla radice è comunque sempre quello del bullismo e che, insomma: "questo non vuol dire che non si debba fare la massima attenzione a quello che avviene in rete fra adolescenti e preadolescenti, ma vuol anche dire che non bisogna esagerare il problema, perché si rischia altrimenti di alimentarlo. Il panico, in questi casi, infatti, può spingere genitori ed insegnati a sopravvalutare la portata di alcuni fenomeni, con il risultato di dare loro troppo risalto e finire col far percepire ai ragazzini una immagine distorta della rete".
Il concetto di moral panic (Cohen, 1972) a cui l'autrice probabilmente si riferisce non è nuovo in questo contesto: già Bennett, Maton e Kervin nella loro pubblicazione The digital natives debate: a critical review of the evidence del 2008 sostenevano che il fenomeno dei nativi digitali fosse enfatizzato dai media senza reali evidenze scientifiche e con toni spesso drammatici.
Sebbene quest'osservazione possa essere parzialmente condivisibile, nel senso che non bisogna usare toni allarmistici quando si descrive la Rete e le applicazioni Social che caratterizzano il tanto citato "Web 2.0", credo che si debba affrontare il problema in modo lucido, partendo, innanzitutto, da dati reali. 
Ciò che l'autrice scrive circa la paventata scarsa diffusione di Internet nel nostro Paese mi lascia alquanto perplesso: basta entrare in una qualsiasi classe di una qualsiasi scuola media d'Italia e chiedere di alzare la mano ai possessori di PC, smartphone o tablet, per rendersi conto che le cose stanno diversamente. Secondo Audiweb, nel 2012 il 79,6% degli italiani di età compresa tra gli 11 e i 74 anni aveva accesso a Internet, con un tasso sensibilmente più alto tra gli adolescenti: 94,5%. Anche Internet World Stats (elaborando dati Audiweb) posiziona l'Italia in diciassettesima posizione nella classifica dei Paesi a maggior diffusione di Internet, con 38.000.000 di utenti, 81% della popolazione, nel 2013: +1,4% rispetto all'anno precedente.
Il dato su cui porre particolare attenzione è il tasso di penetrazione nelle fasce più giovani della popolazione e, pertanto, il digital divide generazionale che fa sì che i minori siano spesso lasciati soli nell'affrontare problematiche che i genitori non (ri)conoscono o sottovalutano (e la lettura dell'articolo della Vaglio non aiuta in tal senso).
Posso anche essere d'accordo con l'autrice quando afferma che "Il cyberbullismo non è un fenomeno separato dal bullismo: chi è bullo su internet di solito lo è anche nella realtà, o anche nella realtà è un fiancheggiatore silenzioso di atti di bullismo, perché il bullismo vive della logica del branco." Ma non lo sono per nulla quando scrive che "invece di improntare lezioni ed interventi contro il cyberbullismo come fenomeno specifico è molto meglio fare lezioni e progetti che parlino e prevengano il bullismo in generale."E' vero che il bullismo, indipendentemente dalla "forma", è dannoso e pericoloso, in quanto crea situazioni spesso drammatiche di disagio, imbarazzo, impotenza, depressione nei giovani. Ma il cyberbullismo ne è una forma particolare, a tratti più insidiosa, meno nota e dunque talvolta sottovalutata:
  • I messaggi veicolati attraverso un Social Network possono essere ancora più brutali di quelli comunicati verbalmente, vis-à-vis: non è così raro leggere su una bacheca di Ask.fm frasi del tipo "sei un cesso, dimostri dieci anni, vatti a nascondere” (ingiurie rivolte alla giovane quattordicenne torinese suicidatasi ieri) o "fai schifo come persona. Suicidati" (lugubri inviti rivolti alla sua coetanea suicida a Padova lo scorso Febbraio). Frasi così spietate sono meno frequenti in un contesto pubblico reale, non anonimo, di fronte a testimoni, sotto gli occhi di altri, anche di coetanei; forse si teme di essere additati o che qualcuno intervenga e, comunque, la percezione di commettere qualcosa di sbagliato è più forte, più presente e, in modo inversamente proporzionale, la sensazione di star facendo del male a qualcuno è più affievolita se non si ha la vittima di fronte, se l'arma non è uno schiaffo o un calcio ma la tastiera di uno smartphone.
  • Un atto di cyberbullismo può avvenire in qualsiasi momento, non termina uscendo da scuola. E' in grado di propagarsi senza limiti spaziali o temporali. Non richiede la presenza della vittima. I messaggi offensivi possono diffondersi rapidamente e coprire una platea  altrimenti impossibile per un atto di bullismo tradizionale.
  • Individuare un cyberbullo richiede tecniche investigative diverse rispetto a quelle necessarie a fermare un bullo tradizionale, anche perché il cyberbullo stesso rischia di perdere il controllo della sua azione, una volta innescata in Rete.
In conclusione, vorrei dire che non è certo una gara a "qual è il bullismo peggiore": sono probabilmente due facce dello stesso problema, hanno radici comuni, ma i metodi con cui affrontare il cyberbulling, con cui farlo conoscere ai giovani ed agli adulti sono diversi. Perchè se è vero che, come sostiene la Vaglio: "non è la rete che ci mette in pericolo o ci rende cattivi, siamo noi che decidiamo di comportarci in un certo modo nella realtà e questo ha inevitabilmente delle conseguenze. Saperle prevedere e gestire è quello che dobbiamo insegnare ai nostri figli, sia sulla rete che fuori", è altrettanto vero che far comprendere ai giovani, ai loro genitori, ai loro insegnanti, le differenze tra bullismo e cyberbullismo può aiutare a riconoscere meglio e più rapidamente situazioni spiacevoli e pericolose, a trattarle in modo adeguato e consapevole.
Qui l'articolo completo di Mariangela Galatea Vaglio
(Fonti: Commonsensemedia.org, Excite, Repubblica, Wikipedia, Il Mattino di Padova)

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