Con un titolo che fa riferimento a quelle figure note nella tradizione campana come le streghe, ma che, in realtà, altro non erano che donne emancipate e troppo all’avanguardia per essere comprese e rispettate dalla società del tempo, tanto da viverne ai margini, Janara (2015), primo lungometraggio diretto dal napoletano Roberto Bontà Polito, approda su supporto dvd – con il trailer quale extra – sotto il marchio Nuova Alfabat.
L’ottima occasione per riscoprire un’operazione che, vista nelle sale cinematografiche ad Aprile 2015, parte da queste figure femminili da sempre temute e rispettate cui tutti si rivolgevano per fare fatture, togliere il malocchio, praticare aborti o elaborare filtri d’amore; una delle quali, nel Settecento, pare sia stata uccisa mentre era incinta – probabilmente di un nobile del posto – e, di conseguenza, spinta a lanciare una maledizione che prevedeva che nessuno avrebbe più potuto crescere un figlio.
La stessa Janara, quest’ultima, da cui sono terrorizzati gli abitanti di San Lupo, paesino in provincia di Benevento; mentre l’Alessandro D’Ambrosi di Paranormal stories (2011) e la Laura Sinceri di Pasolini (2014) entrano in scena nei panni di Alessandro e della moglie gravida Marta, di passaggio nella località per questioni testamentarie legate alla morte del nonno di lei.
Località dove, da qualche tempo, la polizia crede che le sparizioni di bambini siano dovute ad un pedofilo, mentre gli abitanti le attribuiscono, appunto, alla stessa Janara nella cui macabra vicenda finisce invischiata la giovane coppia di protagonisti.
La Janara pericolosa soltanto di notte e tenuta lontano dalle ciotole di sale poste davanti alle porte delle case, in modo che perda tempo a contarne i granelli permettendo di sfuggirle a chi capita sulla sua strada; man mano nel popolo scoppia una psicosi e che è un sacerdote a rivelarsi conoscitore della inquietante leggenda.
Inquietante quanto la cantilena infantile sfruttata all’interno della colonna sonora – comprendente il brano originale È na Janara di Pietra Montecorvino ed Eugenio Bennato – di un elaborato non privo di evidente citazionismo cinefilo; dal racconto verbale dell’esecuzione della strega che richiama alla memoria le immagini de La maschera del demonio (1960) di Mario Bava alle due bambine spettrali in chiaro riferimento al kubrickiano Shining (1980).
Elaborato tutt’altro che mirato al facile effetto raccapricciante ma atto a privilegiare, al contrario, una certa avvolgente atmosfera al servizio dell’attesa tempestata di incubi.
Riservando la sua fase più riuscita nella parte finale, prima ancora di tirare in ballo una strizzata d’occhio alla serie Paranormal activity durante i titoli di coda.
Francesco Lomuscio