Magazine Diario personale
Sulle pagine dei quotidiani locali avevo letto di un corso di scrittura scenica per il teatro organizzato da un'associazione culturale di Rimini. La sera della prima lezione sono partito da casa munito di penna e quaderno, contento di potermi dedicare a qualcosa di diverso dal solito. La sede dell'associazione, che era anche quella del corso, è situata in una traversa del lungomare di Rivazzurra. Non è stato un problema trovare parcheggio e mentre camminavo passando in rassegna i numeri civici lungo il marciapiede deserto cosparso dalle prime foglie cadute, osservavo gli alberghi e i ristoranti chiusi, le vetrine dei negozi spente e serrate. Impossibile non avvertire il contrasto con la vita brulicante e chiassosa dei mesi estivi.
A volte, dopo il lavoro, se non sono particolarmente stanco, mi piace girovagare un pò in macchina per svuotare la mente dai pensieri e distrarmi cambiando scenario. Metto un cd nel lettore e mi infilo nella infinita coda di mezzi sul lungomare: auto, moto, scooters, biciclette e gli odiatissimi risciò. Osservo le persone camminare e unirsi in una sorta di frenetica osmosi lungo i marciapiedi oppure mentre sono sedute ai tavoli fuori dagli alberghi, nei ristoranti e nei bar. E' il mio piccolo film della notte. In qualche occasione mi spingo tanto in là che torno a casa più tardi di quanto dovrei ma non m'importa. Il sonno non è l'unico modo per conservare la salute.
Il palazzo con la sede dell'associazione era un condominio di 6 piani nuovo di zecca ma completamente disabitato, come tanti altri lì intorno. Appartamenti chiusi anzi, sigillati, in attesa di aprire i battenti agli affittuari estivi.
Nel quadro dei campanelli, tutti contrassegnati da un numero, spiccava l'unico con l'etichetta personalizzata: Arteficio - Associazione Sportiva Dilettantistica. L'ho trovato molto insolito. Che avessero anche una squadra di calcio?
Ho notato un ingresso laterale illuminato, al quale si accedeva con una breve rampa di gradini, con il nome dell'associazione sulla portone di vetro e alluminio e mi ci sono diretto senza suonare alcun campanello. Nel piccolo atrio , ai versanti opposti di un banco di ricevimento, due ragazze stavano conversando. Ho detto di essere lì per il corso di scrittura scenica e la ragazza dietro il banco mi ha fatto compilare un modulo mentre quell'altra si è presentata come Chiara, collaboratrice del corso e psicologa. Aveva glaciali occhi azzurri e una di quelle espressioni languide che ti fanno contorcere dentro i vestiti. Mi hanno invitato ad aspettare qualche minuto, affinchè si liberasse la sala. Infatti sentivo della musica e degli incitamenti provenire da un'altra stanza, in fondo ad un breve corridoio.
Poco dopo sono arrivati alla spicciolata anche gli altri partecipanti al corso e i due istruttori: Alberto e Chiara della compagnia Korekanè (per comodità indicherò l'istruttrice come Chiara1 d'ora in avanti, per distinguerla dall' ammaliante collaboratrice Chiara2).
Dopo pochi minuti la musica era cessata e dal corridoio sono arrivate tre ragazze scapigliate e accaldate che hanno salutato tutti mentre uscivano indossando i giacconi sopra il body e le pantacalze. Ricordo di aver pensato: però, si danno da fare in questa associazione! L'affluenza non è proprio da record ma, appunto per questo, tanto di cappello a chi si sforza di creare queste iniziative.
Mi sono diretto verso la sala e appena entrato ho avuto un momento di smarrimento. Nella stanza non c'erano nè tavoli nè sedie: era uno spazio unico, completamente sgombro, con un lucido parquet sul pavimento e le pareti ricoperte di specchi, con una maniglia che correva intorno al perimetro ad un metro da terra. Ho avvertito un lieve pizzicore dietro al collo, che risaliva veloce per la nuca. Sono tornato indietro sospettando di aver sbagliato stanza. In effetti non c'era traccia di tutti gli altri ma questo perchè si erano infilati nei due spogliatoi lungo il corridoio. Entro anche io nello spogliatoio maschile e appendo il giubbotto alla parete. Ritorno nella sala e Chiara1 mi invita a togliermi le scarpe e a restare in calzini facendomi notare che avrei dovuto indossare indumenti più comodi al posto dei jeans. Decido che a quel punto era inutile mettersi a fare troppe domande anche perchè sembrava che tutti sapessero benissimo cosa fare e che parlassero tra loro come se si conoscessero già. Lascio anche le scarpe nello spogliatoio e torno nella sala scalzo, con la penna e il quaderno che a quel punto capisco essere superflui: li ho posati sul pavimento, in un angolo dove erano ammucchiate borse, borselli e telefoni cellulari. Aspetto in mezzo alla sala insieme agli altri, assicurandomi che i miei calzini non lasciassero dietro di sè impronte umide di sudore.
Eravamo nove in tutto: oltre al sottoscritto c'erano i due istruttori, Alberto e Chiara1; la collaboratrice, Chiara2; due ragazzi, uno alto e l'altro più basso col pizzetto; due ragazze, una delle quali andava in giro con la maglietta sbottonata a mostrare una vistosa scollatura; e un'altra ragazza sui 20 anni di nome Rosita che in effetti era un vero "fiore": alta circa un metro e settanta, capelli biondi raccolti dietro la nuca, grandi occhi azzurri, carnagione chiara e dei modi che esprimevano grazia e timidezza. Io e Rosita eravamo gli unici nuovi arrivati, tutti gli altri erano reduci dall'edizione dell'anno scorso.
Chiara1 ha dato inizio alla lezione invitando a sciogliere i muscoli del collo. In piedi, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, ha cominciato ad oscillare la testa in tutte le direzioni. A questo punto ho avuto la certezza di aver frainteso ogni cosa riguardo quel particolare corso. Non ero ancora sicuro di cosa trattava ma almeno sapevo cosa non trattava: ho lanciato un'occhiata d'addio al quaderno e alla penna sul pavimento, ho tirato un bel sospiro e ho iniziato a lavorare di collo.
Subito dopo abbiamo cominciato a correre per la sala, prima per linee rette e poi con improvvisi scarti in ogni direzione. Altri esercizi per le articolazioni che mi hanno riportato con la mente alla mia breve carriera calcistica e poi....qualcosa di completamente diverso. Siamo stati divisi in due gruppi e addossati alle pareti ai latti opposti della sala. I componenti di un gruppo, uno per volta, dovevano chiudere gli occhi e camminare attraverso la stanza fino all'altro gruppo, dove qualcuno si sarebbe preoccupato di fermarlo prima del muro. Anche se i rischi erano praticamente nulli, ho notato che la maggior parte delle persone rallentava drasticamente l'andatura già a metà sala. Fidarsi è bene...eccetera, eccetera.
Altro esercizio simile ma a coppie. A turno, bisognava chiudere gli occhi e farsi guidare dal compagno per la stanza, esplorando con il tatto l'ambiente, toccando gli oggetti, o ubbidendo alle sue silenziose indicazioni trasmesse con la pressione delle mani sulle spalle o sulle braccia.
Poi è venuto il momento della comunicazione visuale. Vagare qua e là individuando di volta in volta dei "bersagli" nelle altre persone e seguirle per un pò; camminare per fermarsi all'improvviso davanti a qualcuno e osservarsi attentamente da capo a piedi (unici momenti di difficoltà: quando ho incrociato Chiara2, quella con lo sguardo che apre anche le scatolette di tonno, la quale mi ha fatto saltare per aria tutti i bottoni; e quando ho affrontato miss scollatura che, l'ho capito in quel momento, non aveva lasciato nulla al caso....). E che dire di Rosita? Avrei potuto stare a guardarla per tutto il tempo della lezione ma era così timida che, immagino, questo avrebbe anche potuto ucciderla.
Lo scopo di quest'ultimo esercizio era quello di allenare la capacità di osservazione. Gli istruttori hanno scelto alcuni di noi e hanno chiesto loro di descrivere con esattezza ogni singolo dettaglio di chi avevano osservato: com'era vestito, di che colore avesse gli occhi e i capelli, se portava collane, orecchini (e come erano fatti)....
Ormai avevo capito di cosa trattava il corso e poco dopo Chiara1 lo ha ricordato a tutti esponendo il progetto al quale avremmo dovuto lavorare: una rappresentazione che partiva da un testo già pronto (un'opera di A. Schnitzler) ma avrebbe dovuto conformarsi in base al contributo di ognuno in fase di prova e sperimentazione. "Scrittura scenica" era quindi da intendere come costruzione e sviluppo della scena attraverso il lavoro degli attori.
Per quanto l'abbia trovata un'esperienza diversa e interessante sotto molti aspetti, tra cui quelli di poter saltellare scalzo sul parquet, toccare e guardare negli occhi belle ragazze, interagendo con le persone in modi completamente diversi da quelli che siamo soliti praticare ogni giorno e che, curiosamente, mi sono parsi molto più autentici....ho deciso di non continuare il corso. La mia attenzione si dirige altrove, per adesso, ma un giorno potrei riprovarci.
(Un sabato sera, diverse settimane dopo, mi trovavo in "piazzetta" a Rimini, cioè nella zona dei locali intorno alla vecchia pescheria. Nella folla ho intravisto Chiara2 che parlava con un'amica. Aveva il suo solito sguardo ma regolato sul minimo, come usa fare Ciclope degli X-Men con il suo visore al quarzo rubino. Subito dopo ho visto anche Rosita mentre correva con un'amica da qualche parte, ma non lontano. E una mattina, al bar, ho visto sul giornale una foto di Chiara1 nuda dentro un carrello del supermercato. Forte!!)
Le vacanze degli altri
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