Una recente indagine svela l’ignoranza di molti bimbi metropolitani: «le uova si sviluppano sui banconi del supermercato» è una delle risposte più gettonata.
Tra televisione, videogames e realtà virtuale l’infanzia ignora gli sporchi processi del mondo reale e la distanza tra la ciò che si «tocca» ed i fotogrammi trasmessi da un monitor aumenta di generazione in generazione.
Lo stesso ragionamento vale anche per il calcio e su come viene “percepito” l’evento sportivo dai più piccoli.
Assuefatti alla poltrona del salotto, i pargoletti guardano le partite col telecomando tra le mani ignorando la vera atmosfera che circonda la gara. Tra spot pubblicitari, i commenti pilotati dei telecronisti e le riprese ipertecnologiche ma pur sempre limitate del tubo catodico, lo spettacolo agonistico si riduce ad reality show. Il sudore e la fatica degli atleti non è colto, le voci dei tifosi filtrate dai microfoni ed i colori dello stadio depurati dai cameraman della pay-tv.
Prima che sia troppo tardi, decido di rompere questo ciclo vizioso e – alla tenera età di sei anni – giunge il battesimo per mio figlio: tutta la famiglia al San Paolo per Napoli Lazio!
All’ingresso del settore “Family”, osservo gli occhi del mio pargoletto non appena intravede il prato verde: lo stupore è evidente e la gioia emerge sul suo viso innocente.
Le due squadre ci regalano una domenica con gol ed adrenalina pura: prima lo svantaggio azzurro, poi il fantasmagorico pareggio di Dries Mertens ed infine la fenomenale tripletta del Pipita-Higuain. Novanta minuti di sentimenti ancestrali: il coinvolgimento emotivo è spontaneo, le nostra urla si confondono con lo sfogo degli altri tifosi, la disperazione per il gol subito che – nello stesso istante – gela tutti gli spettatori ed il salto dal sediolino dei cinquantamila del San Paolo al missile del folletto belga.
Il rito del panino prima dell’inizio del match, la musica e la coreografia delle curve, il caffè borghetti, il papà che abbraccia il figlio, lo strepitare contro l’arbitro, la sensazione di svuotamento al triplice fischio finale.
La sofferta vittoria è giunta, possiamo tornare a casa stanchi ma soddisfatti.
Per mio figlio – come fu per me e per ogni altro bimbo amante del calcio – la prima volta allo stadio è indimenticabile.
«Papà, torniamo un’altra volta?» chiede felice.
Missione compiuta, il telecomando è già un lontano ricordo.
MMo