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Sono passati quasi quindici anni da quando Wu Ming, allora col nome di Luther Blisset, pubblicarono quel gran romanzo che è Q, un libro che, a distanza di tanto tempo, ancora mi trasmette il piacere della lettura. E proprio quindici anni più tardi l'epilogo di quella storia prende avvio Altai, ricominciando dalla stessa città, l'Istanbul degli imperatori ottomani, città sfarzosa, caotica, incline al lusso e al misticismo, all'intrigo e alle decisioni che cambiano la storia.
Da Q ad Altai forse il passo è più lungo ancora e forse il piacere della lettura non è stato lo stesso. Non pretende di essere un sequel, sull'onda di un successo lungo e inatteso, ma piuttosto un altro pezzo di storia e di storie che vanno al loro posto, con assonanze, rimandi, ritorni. In questo non bara, Altai, ed è senz'altro meglio per tutti.
E quante cose che scorrono sotto gli occhi: il sultano con i suoi visir, gli ebrei sefarditi, i giannizzer con le loro scimitarre. le galee della Serenissima, l'assedio di Famagosta con l'eccidio dei veneziani, la battaglia di Lepanto... pagine di storia su cui fantasticai già da ragazzino, magari con l'aiuto di Emilio Salgari e le sue pagine che raccontavano di fughe rocambolesche, di duelli all'ultimo sangue, di prigionieri impalati... e poi del povero Marcantonio Bragadin, il comandante dei veneziani, scuoiato vivo al termine di altri terribili supplizi.
Solo che con Wu Ming non è solo avventura, cappa e spada, è sempre storia di uomini che si mettono in cammino, di uomini che tra molteplici vicissitudini inseguono quello strano sogno chiamato libertà.
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