Tempo una settimana e recupererò, credo, le poche rubriche fisse che negli ultimi tempi avevano trovato spazio sul blog. Oggi, invece, mi va di parlare di Conan. Ancora. Sempre.
Perché diciamocelo, saremmo disposti a tutto, pur di avere la chance di creare un personaggio così potente.
Passano gli anni, si accavallano gli autori, le epoche, il modo di sentire, le brache di Yildiz diventano lo stantuffo di un Dio (proprio quello), completo di attributi; la barbarie, il distacco dalla civiltà diventa complicità tra compagni predoni, secondo i duo comici, costruiti su protagonisti che si sostengono a vicenda, con continue battute, ammiccamenti, sfottò. Eppure, Conan funziona sempre e sempre risulta fuori posto, come quando confessa che un tempo, in gioventù, venutosi a trovare tra popolazioni cannibali, ha assaggiato la carne umana: simile a quella di un maialino. Per cui, lui sì, può sopravvivere anche nel deserto. Al compagno di viaggio, a quel punto, scorre la gocciolina di sudore sulla fronte.
Questa graphic novel me l’ha regalata Alex, tempo fa. Finalmente è arrivata l’ora di parlarne.
Autori, Timothy Truman, disegni e un certo Joe R. Lansdale ai testi. Storia, la solita di vagabondaggi, malìe, profezie, stregoneria. Una cosa manca, la screamqueen, la sua antesignana, caratteristica familiare e confortevole di Bob Howard, da assaporare così come una figura, svuotata del suo significato, ma bellissima come puro fatto estetico.
Qui non c’è. C’è una figura femminile, è vero, appena più complessa e sfaccettata.
“Nuovo” autore, Lansdale, sicuro di sé, umorista e scrittore che stimo. Per un “nuovo” Conan.
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Invidiabile la capacità, che è propria dell’universo Howardiano, di proporre scenari simili eppur godibili. Temi familiari e carissimi, che si prestano a ogni genere di utilizzo, anche dissacrante, come in questo caso.
Ci viene presentato, se la mia esperienza non fa acqua, un Conan intorno ai trentacinque anni. A quell’età, il Cimmero le ha viste quasi tutte. Si può permettere di misurarsi con stregoni dai poteri sanguinolenti e pulp, capaci letteralmente di rivoltare i propri servitori come pedalini e trasformarli in creature notturne, sotterranee, pronte a eseguire ordini, tanto quanto, prima, di costruire siparietti distensivi, proprio con quegli stessi stregoni. Demitizzazione costante, ma non presa in giro. Direi, piuttosto, ridimensionamento.
L’aura sacra intorno alla stregoneria, posseduta e utilizzata da figure incappucciate non è attuale, o meglio non è più percepita come tale. Uno slittamento di fruizione che appartiene agli stessi autori, che non ci credono più. Tanto vale, com’è riuscito a fare Lansdale, assecondare la propria vena ironica, e dar vita a qualcosa di insolito.
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Non è neppure questione di tratto. Appartengo alla generazione passata che vide, da ragazzo, la rivoluzione nelle tavole a fumetti che persero i contorni, si fusero, divennero dinamiche. Non ricordo se sia stato il primo, ma di sicuro uno di quelli che cambiò le cose: Todd McFarlane e il suo Spiderman.
Ora, le tavole di Truman appaiono più regolari, splendide, coloratissime: fanno bene agli occhi. Ma la storia se le fagocita. Non ci si bada, perché catturati dalla narrazione.
Conan ne vien fuori personaggio ricco di humour nero, ombroso, saggio, perché a trentacinque anni, con un destino di sovrano sul capo, si diventa saggi per forza, oppure lo si diventa dopo aver contato le cicatrici addosso. Insomma, quel tipo di saggezza e incoscienza tipica del personaggio (e dell’autore dietro di esso) che sa che non può morire. Lo sa anche il lettore. A Conan non può accadere nulla, è predestinato.
Il diletto nel leggere ancora i suoi racconti, e degli stessi racconti howardiani, sta nelle sfumature, nelle battute, persino nei personaggi secondari, effimeri quanto la durata di una graphic novel, che di volta in volta compaiono accanto a lui.
Howard ha creato un canovaccio. Uno splendido foglio da arricchire, partendo sempre dalla stessa base.
E credetemi, lo invidio tantissimo.
soundtrack (thanks to Ferru)