Ok, ci può stare, dopo l’entusiasmo per Ulisse da Baghdad (vedi recensione qui) un po’ di delusione è legittima conclusa la lettura di “Concerto in memoria di un angelo” di Eric Emannuel Shmitt. Il primo motivo è che raramente mi è successo di mantenere la stessa attenzione per due libri letti in successione dello stesso scrittore probabilmente per una sorta di assuefazione al linguaggio, al mondo ricreato dall’autore; il secondo motivo è perché questo volume è una raccolta di racconti e io come molti, non vado matto per i racconti, alcuni li ho trovati discreti come quello che ha dato nome all’intera raccolta, altri insulsi, altri ancora brutti forte (vedi il primo: l’avvelenatrice), un po’ troppo costruiti, un po’ troppo “compitino per casa”, un po’ troppo moraleggianti.
Ma nonstante questo il libro mi è piaciuto e il motivo sta nel fondo, sono le ultime venti pagine circa, dove l’autore pubblica le note e gli appunti e le riflessioni che ha raccolto durante il periodo di stesura di questi racconti, una sorta di operazione post moderna di letteratura sulla letteratura; ecco, queste pagine sono vivaci naturali sincere reali e ricche di considerazioni sulla scrittura sul mondo editoriale sul concetto di arte sui francesi sugli Italiani su altri scrittori, una sorta di memoir dove si mescolano fantasia narrativa e vita reale dello scrittore perché come si sa spesso è più interessante scoprire i meccanismi che portano alla stesura di un racconto, del racconto stesso.
Posts correlati:
- Ulisse da Baghdad
- Elogio del memoir
- Giovanni Papini: filosofo con il martello