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Nella concezione ebraica la malattia, il dolore, erano legati essenzialmente al peccato commesso. Chi aveva peccato, doveva pagare in questa vita, il classico occhio per occhio, dente per dente. I Giudei erano intrisi di questa concezione, tanto che di fronte ad un uomo, nato cieco, gli domandano chi aveva peccato. Inoltre di fronte a certi avvenimenti tragici di cronaca nera, come il crollo di una torre durante la costruzione in cui molti trovarono la morte, o la strage che Ponzio Pilato fece di alcuni Galilei che desideravano la libertà, la domanda si fa pressante: hanno peccato? Sono stati puniti per questo? Gesù sorprende ancor oggi per le sue risposte straordinarie che stravolgono non solo la mentalità del suo tempo, ma persino quella odierna. Alcuni elementi della religione giudaica si sono infiltrati pure nella nostra mentalità e non risulta più facile eliminarli. L'uomo da solo, non può immaginarsi il grande amore di Dio, rimane nelle sue concezioni limitate, pur avendo conosciuto Cristo. Gesù, stuzzicato dai suoi contemporanei, a riguardo degli incidenti subiti dai Galilei, terribili ovviamente, sostiene velatamente che il punto più importante, il succo del discorso, la cosa essenziale, è convertirsi per non morire nel peccato. Quello è fondamentale. Non morire nel peccato. Morire non è la fine di tutto, ma lo è morire nel peccato, senza essersi convertiti.
Durante questa settimana, quindi, si sono letti i vangeli più toccanti che rivelano il vero volto del Padre: il figlio prodigo, l'insegnamento della preghiera del Padre Nostro, il servo a cui viene condonato il debito. Oltre a questo, però, Gesù vuole far comprendere che il contatto e la vera conoscenza di Dio, presuppone la pratica dell'amore nei confronti dei fratelli: chi comprende la misericordia di Dio veramente e il bisogno effettivo che ha l'anima, allora, riuscirà a vivere l'amore verso il prossimo.Il concetto della sofferenza del cristiano è quindi diverso rispetto a quello dei Giudei, tuttavia non è cambiato quello del peccato. Rimane la cosa più orrenda, tanto che Gesù lo espia per noi tragicamente, con una sofferenza indicibile. La riparazione è essenziale, ma il passo più grosso lo ha fatto Gesù con la sua offerta, noi dobbiamo semplicemente offrire la nostra sofferenza in unione alla sua passione. Semplice come concetto, difficile da concretizzare. Rimane questa la strada. Dobbiamo sudarci il Paradiso, non ce lo ha aperto automaticamente, altrimenti sarebbe facilissimo e, veramente, lederebbe il concetto più puro della giustizia umana: uno fa quello che vuole e poi... entra in paradiso automaticamente, come quel povero che si è sacrificato per tutta la vita e ha praticato la virtù. NO, Gesù lo esclude totalmente, anche quando racconta la parabola di Lazzaro e del ricco epulone. Il peccato va espiato, con l'amore.
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