Caleidoscopio
L’arcobaleno. Se ne può intrappolare uno?
Ciò mi venne in mente quando ritrovai quel caleidoscopio. Già lo avevo conosciuto, osservato.
Quando ero piccola, mi domandavo come poteva un oggetto possedere la luce. Non parlo di quell’energia creata in una lampadina. Artificiale.
Il caleidoscopio catturava la luce del sole. Coglieva ogni raggio, lo incorniciava nelle sue rotondità, lo abbracciava come se fosse un bambino. Un qualcosa di innocente da proteggere.
Quando mia nonna me lo fece usare, ero tra le sue braccia.
Diceva che dovevo guardare dentro ogni volta che avevo paura, le ombre facevano parte della luce, toccava a noi ricordarcene, e dimostrare coraggio.
Forse allora non capivo bene cosa intendesse, infatti le sorridevo, le riponevo il caleidoscopio nella sua decadente pelle e correvo fuori, nel giardino davanti casa.
Rotolavo a terra e con gli occhi socchiusi osservavo il cielo. Respiravo forte, risucchiavo essenza vitale.
Peccato che non respiri più quell’aria, ora inquinata.
Le nuvole nere coprono la luce. I raggi devono lottare per infiltrarsi nella cieca malignità.
E a questo punto che importanza ha lottare?
Appena il mio piede sul suolo rimbomberà nel silenzio che circonda la mia casa , il cielo mi sputerà acido addosso.
Che senso ha uscire quando l’unica persona che mi può proteggere sono proprio io?
Ed io sono troppo debole.
A quel pensiero, le forze abbandonarono la mia mano. Il caleidoscopio cadde.
I pezzi di vetro saltavano fuori come piccole farfalle che fuggivano dal loro bozzolo.
Da quanto tempo non uscivo dal mio bozzolo?
Non osavo pensarci. Era da troppo tempo che non mettevo piede fuori casa. Eppure questo pensiero non mi convinceva ad uscire.
Ogni tentativo era vano. Non credo sia paura, più che altro delusione.
Il telegiornale non ripete che stragi, morti, solo pessime notizie. Non ci si rende conto di quale effetto può provocare sulla gente?
Ogni giorno muore una donna, non per causa naturale, dicono. Ogni giorno.
Ogni giorno rimango chiusa.
Nessuno mi potrà più guardare con quell’aria di cane affamato, risucchia indietro quella bava lurido pervertito! Lurido uomo che non vede la mia anima. Lurido uomo che mi fa sentire lurida.
Farmi vergognare del mio corpo, sporcare i miei pensieri con lacrime amare e pensieri suicidi, è questo il tuo scopo? È questo ciò che vuoi provocare con il tuo incontrollabile istinto sessuale da soddisfare? E lo volete chiamare sesso forte?
Non fatemi ridere.
Non ci riuscirei comunque.
Ogni giorno mi privo della libertà per sopravvivere. Ogni giorno la televisione, l’unico mezzo con cui ho un contatto con l’esterno, ripete la malignità degli uomini. Degli umani.
Mi abbasso, raccolgo i frammenti di vetro.
Rosso, come il desiderio. Il potere. Il possesso. I vizi dell’uomo.
Trasparente. Come le anime che volano in cielo confondendosi nell’aria.
Blu. Verde. Arancione. Giallo. Indaco. Viola. Credo di averli raccolti tutti.
Li inserisco nello scomparto. Riprovo a mostrar l’occhio.
Cerchi concentrici si appesantiscono nella mia mente, inizierò a sognare?
Ma c’è qualcosa che non va. All’interno un pezzo di specchio si è spostato.
Lo apro. Un foglio ingiallito dal tempo. Un qualcosa di estraneo catapultato nella realtà. Un sogno?
Ho regalato questo caleidoscopio a mia nipote, perciò spero che questo foglio lo ritrovi lei.
Eri una bambina quando la mia vecchiaia avanzava. Chissà se ti ricorderai di me.
Ho scritto questa lettera per lasciare un segno in questo grande mondo. Un mio pensiero.
Ho vissuto la mia giovinezza durante quella che chiamavano La Grande Guerra.
Dicevano che questa era peggiore di quella precedente.
Avevo paura di guardare il cielo. Il nemico attaccava dall’alto. Ci nascondevamo dove potevamo.
Ripetevo a me stessa che tutti quei motivi che causavano la guerra, erano solo una assurda bugia.
Gli uomini che avevano deciso tale guerra, non riuscivano a vedere le bellezze del mondo, e nelle persone. Perciò si voleva distruggere il mondo, eliminare la sporcizia tra gli uomini e riformare una nuova Terra. Ancora una volta si sarebbe formato un mondo basato sull’estinzione, sostenevano alcuni allora. Ma sulla terra bruciata, non crescono in fretta i fiori.
Sul sangue dei cadaveri non poteva nascere l’amore.
Fui interrotta. Il mio cellulare stava squillando. Si lamentava. Si contorceva, aspettando la mia risposta. Ma non avevo il coraggio di rispondere. Sapevo chi era, e non volevo sapere cosa mi volesse dire. Sarebbero state parole vane.
Il mittente era un ragazzo, diceva di essere innamorato di me.
Un giorno, davanti al mio ufficio, mi bloccò il passaggio, diceva che doveva parlarmi assolutamente.
Non sapevo se fermarmi o chiamare qualcuno. Avevo perso del tutto la fiducia negli uomini.
Ma lui mi guardava con grandi occhi da cerbiatto, diceva che voleva solo parlarmi.
Si presentò, lavorava per lo studio dove ho il mio ufficio.
Ha parlato di un colpo di fulmine. C’era qualcosa in me che lo aveva colpito. L’unica cosa che voleva quel giorno, era la possibilità di vederci in futuro per prendere un caffè insieme.
Così gli diedi il mio numero. Si sarebbe fatto vivo lui.
Quello fu l’ultimo giorno che mi presentai allo studio.
Non ci fu un motivo preciso. Chiamai lo studio e chiesi le mie ferie anticipate.
Solo l’idea di ritornare lì, mi terrorizzava. L’idea di vedere un uomo, era terrificante.
E se voleva solo amare il mio corpo? Usarmi e buttarmi via? Bloccarmi ogni volta che volevo tornare a casa? Mi avrebbe fatto del male?
Ero delusa dal genere umano. Avevo paura di non essere altro che una vittima.
Ripresi in mano la lettera.
Mi sentivo prigioniera in casa mia. Non potevo più guardare il cielo senza provar disgusto e paura.
Ci nascondevamo nelle cantine, anche se era completamente inutile. Se una bomba ci fosse caduta addosso, saremmo morti all’istante. Ma volevamo illuderci che ci fosse qualcosa in grado di salvarci in caso di emergenza. Era l’unico modo per sopravvivere, essere positivi.
Avere fiducia che nessuno ci avrebbe fatto del male.
In quel periodo tuo nonno mi costruì quel caleidoscopio. Serviva a “vedere le cose belle”, mi disse. In un mondo del genere, bisogna solo guardare la bellezza di ciò che ci circonda. Altrimenti si finisce schiacciati. Intrappolati da noi stessi.
Bisogna accogliere le cose belle che ci accadono.
Perciò regalo questo caleidoscopio a te. Sperando che tu possa vedere lontano.
Sperando che tu possa vedere, dopo una tempesta, l’arcobaleno.
Con affetto, tua nonna
Piegai il foglio, mentre le lacrime cadevano giù, innaffiando il mio cuore.
Ricomposi il caleidoscopio e mi immersi in esso. Le farfalle mi giravano intorno, invitandomi a lasciarmi andare. Mi avvicinai alla finestra. I raggi del sole irradiavano le piccole farfalle, alcune di loro volevano tramutarsi in lucciole.
Le lacrime della delusione e della paura svanirono, avevano lasciato posto a nuovi sentimenti: la speranza, la fiducia, il coraggio di guardare lontano e scorgere l’arcobaleno.
Ogni cosa, guardata con una luce diversa, poteva mostrare qualcosa di meraviglioso.
Usai il caleidoscopio come un cannocchiale, ammirai la città dalla mia finestra.
Osservai ogni essere vivente che ero in grado di vedere, circondati dalla luce del mattino.
Tornai indietro. Tolsi la spina al televisore, presi il cellulare e il caleidoscopio.
Uscii di casa senza guardare indietro.
Le farfalle circondarono il cielo, danzavano felici di poter ammirare il creato senza avere paura.
Con un occhio mi immergevo nell’immenso, con l’orecchio attendevo una felicità sperata.