Magazine Media e Comunicazione
E' di recente uscito per i tipi dell'Editrice La Scuola di Brescia un bel libro di Ruggero Eugeni, La condizione postmediale. La tesi di Ruggero è semplice: i media, come li conosciamo da sempre, i media-apparati, i media-dispositivi, stanno scomparendo, anzi, forse sono già scomparsi. In che senso? Nel senso che essi sembrano andare soggetti a tre processi che li dissolvono nella loro natura di media. In primo luogo si naturalizzano: entrano nelle cose (Internet of the things), le ibridano, mescolano naturale e artificiale, scompaiono dietro gli oggetti, divengono tutt'uno con le nostre vite e quel che le circonda. In secondo luogo si soggettivizzano: divengono il prolungamento dei nostri sguardi, come le webcam diffuse sul territorio, come le videocamere per la telesorveglianza, con i Google-glasses e tutto ciò che fa riferimento alla realtà aumentata. Infine essi entrano a costitutire i processi di socializzazione, come accade per i videogames e tutto quel che alimenta oggi gli apprendimento informali.
Il tema - la scomparsa dei media e le sue conseguenze - è stato al centro la scorsa settimana di una seminario di studi che ho organizzato in Università Cattolica. Il titolo - Re-thinking Media Education - intendeva appunto suggerire la necessità di ripensare la Media Education a partire dalla profonda trasformazione che i media hanno subito e stanno subendo nella condizione postmediale.
Nel mio intervento ho provato a problematizzare la questione osservando come, in fondo, il nostro modo di pensare la Media Education e la sua metodologia sia rimasto lo stesso, mentre invece le esperienze di Media Education sono molto diverse e dicono di un'apertura e di un cambiamento. Cosa intendo dire? Intendo dire che la centralità della scuola e il metodo dell'analisi dominano ancora largamente le nostre rappresentazioni della Media Education, mentre invece le esperienze sono molto diversificate e comprendono: i servizi bibliotecari, l'educazione 0-3, il giornalismo, l'opinione pubblica, il well-being.
In quest'ultima direzione si sono iscritte le comunicazioni di ricerca e di esperienze di Alessandra Carenzio e Simona Ferrari (del CREMIT) sulla Media Education per la prevenzione o l'intervento socio-educativo e di Paivi Rasi, della Lapland University, sulla Media Education in età anziana.
Al dibattito hanno partecipato studiosi italiani e stranieri, tra cui Pier Giuseppe Rossi, dell'Università di Macerata, che ha puntato l'attenzione sull'educare con i media, riflettendo su come oggi si debba passare dalle tecnologie come tecniche alle tecnologie come logiche.
Indicazioni emerse dalla giornata:
- le pratiche dicono che il campo della Media Education si sta allargando;
- l'attenzione si sta spostando dalla centralità della tecnologia alla centralità delle pratiche;
- va sviluppata un'attenzione ecologica (come ricordato da Farnè in mattinata), ovvero considerare i media come parte di un più ampio contesto in cui sono inseriti.
Occorrerà riprendere il dibattito.
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