Nuova disciplina del condominio ed uso delle cose comuni: come si connettono i due concetti dopo la riforma in materia avvenuta tra il 2012 e il 2013? Le cose comuni sono stabilmente al servizio delle unità immobiliari private, i cui titolari sono anche comproprietari delle parti edilizie e degli impianti comuni. Il godimento dei beni, degli impianti e dei servizi comuni è quindi in funzione del diritto individuale sulle singole unità di cui è composto il fabbricato. L’art. 1118 del codice civile si limita, in tale direzione, a stabilire la quota proporzionale del diritto di ciascun condomino sulle parti comuni, rapportandola al valore della propria unità immobiliare, ma nulla afferma in relazione all’uso dei beni comuni. A tal fine assume rilevanza l’art. 1102 c.c., costantemente utilizzato dalla giurisprudenza in questo verso.
A livello generale e preliminare bisogna precisare che i rapporti fra condòmini devono ispirarsi al principio di solidarietà, poiché la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali. L’uso del bene comune da parte di ciascuno deve pertanto risultare compatibile con i diritti degli altri, alla luce di un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione (come afferma un orientamento consolidato della giurisprudenza).
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Possono usare e godere dei beni comuni sia i condòmini che i titolari di un diritto di godimento reale o personale, a patto che detti beni siano caratterizzati per collegamento funzionale con le proprietà esclusive rendendo il godimento degli stessi strumentale alla fruizione del bene individuale.
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