(di Marzia Apice) (ANSA) – ROMA, 9 GIU – Acque agitate nel settore lirico sinfonico. Le segreterie nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl, Uilcom Uil e Fials Cisal, oggi in conferenza stampa a Roma, hanno espresso forte preoccupazione sul decreto Cultura, ora all’esame della Camera. “Siamo pronti a ogni forma di mobilitazione e presidio territoriale, con proteste anche aperte al pubblico”, hanno dichiarato i sindacati, lamentando il mancato confronto con il ministro Franceschini e la natura lesiva di alcuni provvedimenti relativi alla legge 112 e all’applicazione del nuovo contratto nazionale, firmato ad aprile scorso. Dopo l’audizione (il 12 giugno) in commissione Cultura alla Camera e al Senato e l’incontro con l’Anfols (l’associazione nazionale delle fondazioni liriche e sinfoniche) da fissare nelle prossime settimane, i sindacati decideranno se e come procedere con la protesta.
“Stiamo pensando di ritirare la firma agli accordi già sottoscritti”, ha affermato Maurizio Giustini di Fistel-Cisl, riferendosi alle fondazioni liriche di Bologna, Firenze e Trieste che, chiedendo con urgenza l’applicazione della legge 112, hanno già stabilito le modalità di riduzione degli organici, nel tentativo di risollevarsi dal dissesto economico. “Il nuovo decreto cambia ogni presupposto – ha continuato – non abbiamo dati certi né sulla ricollocazione dei lavoratori in esubero tramite Ales spa, né su come verrà applicata la legge Fornero per i prepensionamenti: non vogliamo licenziamenti collettivi né esodati”. “Con l’ex ministro Bray nella legge 112 avevamo raggiunto un accordo sui piani industriali di risanamento – ha incalzato Silvano Conti (Slc-Cgil) – ma ora cambiano anche gli equilibri di assegnazione del Fus, con la designazione di fondazioni liriche definite speciali, che riceveranno più fondi e si doteranno di un unico contratto aziendale, nonostante sia stato appena firmato il nuovo contratto collettivo”.
Tutti concordi i sindacati nell’affermare che con il decreto Cultura Franceschini “ha spostato le lancette dell’orologio”, tornando indietro verso provvedimenti “di stampo privatistico che destrutturano il settore e non tutelano i lavoratori”. Una situazione complessa ma anche urgente, se si considera che il dissesto finanziario complessivo per tutte le fondazioni ammonta a 360 milioni di euro: “Se la legge Bray aveva una strategia di risanamento da qui al 2016 – dichiarano i sindacati – con un fondo di 100 milioni che le fondazioni avrebbero potuto usare dietro presentazione di un piano industriale, in attesa di una vera legge per il settore”, con questo provvedimento il risultato sarà la “perdita di tutti quegli importanti centri di produzione culturale che oggi sono in estrema sofferenza”. “La stabilità occupazionale equivale in questo settore alla qualità produttiva – concludono – e quindi alla salvaguardia del patrimonio artistico”. (ANSA).
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