Voglio baciare? mi chiedo: devo baciare? e subito non c'è più niente da chiedersi. Voglio fare l'amore? Mi viene di fare l'amore solo fino a un attimo prima di fare l'amore, e poi da un attimo dopo. Durante, non mi va più. Voglio piangere? probabilmente non sta bene. Voglio spensierarmi? rischio di perdere il controllo.
Ma il controllo di che? dei sentimenti? quali? i miei di certo no, che non me li ritrovo più da tempo. E dire che mi piacevano tanto, i sentimenti.
Ci sono certi allarmismi curiosi veramente. Ne parte uno, ed ecco che infatti segnali di attenzione si diramano nelle synapsi dicendo: ”attento”. La traduzione di questi segnali costa parecchie risorse, fino al punto di non potersi più chiedere “ma scusi: attento a cosa?”.
La traduzione degli abbaglianti costa alla lepre l'impatto. La traduzione del pericolo è per me, adesso, il pericolo.
Una volta avevamo giocato per tutto il giorno allo Stadio dei marmi, era una manifestazione sportiva estiva. Poi avevamo cenato insieme. Poi avevamo chiacchierato con un buon ritmo, quello consono a delle buone amicizie. Buone dovevano essere, perché a un certo punto ci aveva colto la mattina, colla conseguente fame di rimasugli della cena e delle altre delizie di un frigorifero con dentro il vuoto dell'agosto senza genitori. I fumi di tutte quelle ore consecutive ci vedevano chi sbracato in poltrona, chi a fumare per la trentesima volta, chi affacciato alla finestra troppo stordito per godersi l'alba. Ma nella mia macchina c'erano i miei strumenti, l'avevo lasciata aperta perché tanto molte ore fa stavamo tutti per andare via, entravamo giusto un attimo e tanto stavamo al piano terra. Vicino, c'erano i ladri. Poco distanti c'eravamo io e il mio portafogli, troppo vuoto per potermeli ricomprare tutti subito. Forse, se il furto fosse andato a buon fine, avrebbero dovuto chiamare un altro. Uno di quei musicisti capaci di gestirsi la bontà delle amicizie tenendo nel frattempo la sicura della macchina ben chiusa. Sarebbe stata la fine di quella mia vita, in anticipo di tredici anni. Scatto giù. Non sono uno preparato alle cose, e in particolare alla violenza. Quando sto per strada, c'è una vecchia ragazza barbona e un vecchio ragazzo barbone, con la mia roba a tracollo. Il mio tracollo. Forse la notte era stata insonne anche per loro. Sembrano non sentirmi e vanno avanti, ma è il vecchio trucco di fingersi morto vivente e camminante. Corro, li inseguo, li raggiungo. Sono giovane e già rasato, a ogni balzo mi ballano fuori i muscoli da dentro il sudore rappreso sulla canottiera. Gli vado davanti, ci guardiamo. L'unica cosa che ricordo è che nel posarmi a terra gli strumenti mi dice me sto pure a cacà sotto. Si tira giù i pantaloni e si accoscia. Sull'asfalto del marciapiede, come il contenuto di un tubetto di pasta d'acciughe, più chiaro e più liquido, si caca la paura fuori dai nervi. Senza preoccuparsi di munirsi di carta igienica. Chissà se adesso, a distanza di tanti anni, su quel pezzo di marciapiede ce n'è ancora la macchia. Potrebbe. Dovrebbe. Corrode, la paura.
Ero io, allora, il pericolo? esistevo?
Allora almeno quella volta forse aveva un senso, l'allarmismo. È anche per me quello, il senso? Forse mi prudono i sensi di ragno perché io possa nascondere a me e ai miei spettatori le mie cacate di nervi?
Di questo mio allarmismo io non ho paura. Sono allarmi razionali, di emotivo non c'è molto. Non temo che mi si vedano i nervi nelle feci. Se succede e mi si vedono, pace. Io sono come sono da sempre; e da ieri in poi io voglio anche smettere di nasconderlo. Solo, mi scoccia di aver perso le emozioni. Quando accorro ai miei allarmi, io sono tranquillo. Mica vado di corsa, trafelato. Ti potrei raccontare di quell'altra volta che, nella gita di quinto ginnasio a Venezia, dei trentenni locali ubriachi ci volevano menare perché menati a loro volta da altri romani, solo che noi eravamo cinque ragazzini romani con dieci ragazzine coetanee al seguito, mentre loro erano un locale pieno di adulti e traboccante di Serenissima solidarietà lagunare, e allora mentre uno di noi si prendeva il primo schiaffo siamo usciti dal locale, e siccome ho visto che qualcuno di noi lo faceva correndo allora mi ero messo a correre anch'io, ma poi sul treno una di quelle ragazzine mi ha detto "sei scappato via di corsa", e io non le ho nemmeno detto di averlo fatto perché vedendo che qualcuno correva allora avevo pensato 'guarda che scemo che sono, vedi che in questi casi bisogna correre' e quindi avevo corso. Perché tanto, dirlo dopo non avrebbe avuto alcun senso. E questo è solo parte del corredo che un bel giorno piglio e mi porto nella bara.
Ma mica sto male. Galleggio, come per l'appunto certi stronzi. Giusto appena un po' più placido. Rido, mi commuovo, tutto sempre con delle belle intensità. Ma mi sembra di starmene acceso come un led su una televisione spenta, che poi arriva Beppe Grillo e mi punta il dito contro e mi dice davanti a tutti che consumo, e io divento tutto rosso consumando ancora di più tra l'indignazione generale. Da una parte mi fortifico, nel corpo e nello spirito. Molto zen. Dall'altra, mi scopro addosso sempre più stupori di punti interrogativi, senza nessuno che me li possa risolvere. Cresco in positivo, cresco in negativo, la mia somma algebrica è uno zero. Zero come prima di nascere, e come dopo. Mi dà fastidio scorgermi affezionato a tutto quel durante entropico, mi sembra privo di senso.
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Ho suonato in televisione coi tacchi e vestito di arancione, completamente.
Mi sono fatto appellare da Emanuele Filiberto “Mr. Spock” (perché, poi), o diceva a quello che mi stava davanti?, senza usare su di lui quel poco di pugilato che so.
Ho suonato due volte per gli antiabortisti di Comunione e liberazione. La prima volta non sapendolo, la seconda no. E questa per chi sono rimarrà una delle cose più gravi che abbia fatto della mia vita.
Non so dire né capire bene cosa non voglio fare, in effetti.
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E ora, che penitenza? quante trAve Maria devo spingere su nell'æmpio sfintere di Kristo? ;)