L’insegnante di scuole medie Yuko Moriguchi si ritira dalla sua professione a fine anno scolastico, il motivo è la recente morte della figlia, ufficialmente provocata da un incidente avvenuto nei pressi di una piscina. Prima di andarsene definitivamente decide però di dare ai suoi studenti un’ultima lezione intitolata Vita, durante la quale racconta del virus dell'HIV contratto dal suo compagno poco prima che lei rimanesse incinta e rivela – al termine di un discorso pregno di sapere e di consigli utili per il futuro dei ragazzi – di conoscere come la propria bambina non sia affatto rimasta uccisa accidentalmente ma vittima di un gioco sadico messo in piedi proprio da due studenti di quella stessa classe, i quali sono appena entrati, a tradimento, a far parte della sua lenta e agognata vendetta.
Questo è l'incipit di "Confessions", pellicola di sangue asiatico, nominata all’Oscar per il miglior film straniero nel (lontano?) 2011 e che, con buone speranze e netto ritardo, a breve approderà anche nei nostri cinema. Quello di Tetsuya Nakashima è un racconto disturbante, intrigante senza dubbio, e a cui piace cambiare registro repentinamente e in maniera frequente per tenere alta la tensione e approfondire una trama che già nel suo primo e dichiarato strato si presta a curiosi e stuzzicanti risvolti. "Confessions" è prevalentemente un thriller psicologico che non disdegna, in alcuni frangenti, di appoggiarsi anche all'horror, abbracciandolo nella sua forma più elegante e quindi abbandonandolo per non rimanerne troppo attaccato.
Nakashima dimostra grandi capacità di racconto, sa come innalzare tensione e, ancora meglio, sa come spacchettare la serie di eventi incredibili di una sceneggiatura (tratta dal romanzo omonimo di Kanae Minato) dall'altissimo potenziale. Nei primi venti minuti ci convinciamo che l'intero conflitto debba svolgersi all'interno della classe dove l'insegnante protagonista sta terrorizzando col suo monologo i suoi alunni che la seguono parzialmente distratti, ma poi uno stacco ci lascia uscire all'esterno andando a puntare gli altri personaggi coinvolti nella vicenda e proponendoci le loro confessioni una dopo l’altra. A sostenere il racconto, musiche o canzoni vere e proprie costantemente in sottofondo: artificio con cui si sceglie di risaltare ancor di più la drammaticità, ma che tuttavia - se in partenza poteva esser riconosciuto come un tocco originale - alla lunga si tramuta in un meccanismo di alterazione, spesso esagerato, per lasciar vivere ogni scena come fosse un momento in crescendo o portatrice del climax risolutivo.
Una mano meno pesante e più affinata avrebbe potuto ricavare risultati maggiori da "Confessions", che resta comunque un prodotto atipico, avvincente e sopra la media. Qualche sforbiciata qua e la, soprattutto nel finale, avrebbe giovato al meglio, ma preso così com'è il film di Nakashima mantiene un suo fascino (visivo) e una sua logica. Specie per quel che riguarda l’attacco piuttosto diretto alla legge secondo la quale i minorenni sotto i quattordici anni non debbano pagare per i propri omicidi: di questo la pellicola si fa fortissimo carico suggerendo quanto il provvedimento sia fin troppo vecchio rispetto ai tempi che corrono, dove i giovani sono molto più svegli e più intelligenti (o disturbati?) di quanto non lo fossero stati in passato.
I ragionamenti legati al valore della vita trivelleranno il cervello sia durante che post-visione, generando soluzioni che un attimo dopo verranno abbattute per poi essere rimesse in discussione nuovamente e in maniera diversa. Il dubbio che però la vita non abbia né logica e né valore stimabile e che, per questo, se tolta non possa essere in alcun modo rimborsata è, secondo chi scrive, il significato più veemente e più prezioso di questo titolo. Sicuramente molto più psichico di quanto voglia essere vendicativo.
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