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Confindustria: «Flessibilità aumenta diseguaglianze»

Creato il 28 maggio 2014 da Propostalavoro @propostalavoro

Confindustria: «Flessibilità aumenta diseguaglianze»

Da Confindustria arriva un inaspettato attacco alle politiche di flessibilità nel mercato del lavoro, ritenute, a detta dell'associazione datoriale, responsabili di aver provocato una disastrosa diseguaglianza nel mercato del lavoro.È scritto in apertura del documento «Proposte per il Mercato del lavoro e per la Contrattazione», da poco diramato dall'associazione degli industriali. Nel report, a una disanima dei problemi di crescita, competitività, e disoccupazione seguono proposte per un mercato del lavoro meno segmentato, più inclusivo, più equo e più produttivo.

 

Ma di quale flessibilità si parla? Difficile che i datori di lavoro vogliano rinunciare in blocco ad uno strumento fondamentale della moderna gestione di impresa. La flessibilità biasimata da Confindustria è quella in ingresso quella che, per capirci, alimenta il precariato e la proliferazione di contratti non solo indeboliti ma anche di dubbia spendibilità – qualcuno ha mai sentito parlare, ad esempio, di job sharing?La flessibilità in entrata non collegata alla produttività aziendale è dannosa, perché divide il mercato del lavoro (già di per sé storicamente segmentato tra occupati e disoccupati) e «continua a concentrare il rischio di disoccupazione su chi è fuori dall'area di lavoro "standard" (…) determinando anche una dinamica salariale sempre più incoerente con le condizioni macroeconomiche contingenti». Flessibilità "buona" è quella interna, quella che, per capirci, rende i lavoratori partecipi dei risultati aziendali sia dal lato dell'impegno che da quello dell'effettivo riconoscimento retributivo, o quella "flessibilità delle mansioni" che consente ad un dipendente di arricchire il proprio bagaglio di competenze e funzionalità.

 

Chiaro, Confindustria non si discosta dal proprio background ideologico (vedi l'annosa questione sull'articolo 18) ed approva, forse troppo alla leggera, la nuova normativa su contratto a termine ed apprendistato, ma la volontà di promuovere politiche attive di lavoro e quindi formazione e arricchimento del capitale umano sono apprezzabili e ad ogni modo progressiste. Interessanti le previsioni sul mercato del lavoro "anziano", che sconfessano l'impostazione della riforma Fornero ed il suo principio dell'invecchiamento attivo - su cui ad ogni modo è bene pronunciarsi con riserva; per esempio: ha senso sostituire un lavoratore esperto in uscita con un giovane appena inserito?

 

Di nuovo a sorpresa, il documento si augura l'introduzione di un salario minimo che contribuisca ad accelerare il processo di modernizzazione che stanno intraprendendo le relazioni industriali e la concertazione, istituti messi espressamente da parte dalle nuove politiche renziane.

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