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Confini. Il dove della Poesia Italiana: Claudia Ruggeri

Creato il 28 luglio 2015 da Wsf

Claudia-Ruggeri2

***

Benedetti l’Inferno
e il Paradiso
Benedetti la Gloria
ed il Tormento
Benedetto l’Eterno
purché sia!

Ma tu non lo saprai,
fin quando un verme
non roderà la tua carcassa
dentro,
ma proprio dentro,
fino al fondo.
Forse
non troverà
che una conchiglia
vuota.

***

ad ogni memoria è dato un proscenio
di squame di ruote di scarti di spazio
azione di stracci – ahi strappo
l’abbraccio a soggetto la gruccia di
luna la guerra ( rinvigoriscono
i piedi pestando la terra) e gusci
maceria che macera l’orma che marcia
per gli occhi ( inferociscono i piedi
battendo il suolo duro) e per
il vento che sboccia il paese
nel rumore

***

La favola

Vi canterò la storia
dell’amore arrabbiato
tra due mostri scavato nell’odio;

insieme per anni
come sulle vette più alte
i quasi alberi-quasi cancro
che si contendono
l’estremo tepore di vita
nel sassoso contesto di freddo

per anni si strapparono
la vita di dosso
l’un l’altro
lentamente rito

Questa tensione alla morte
era un amore. Un amore geniale.

***

Eureka

Prendono il volo – padre d’ombra
e di mare – come grani di sabbia,
chicchi di luce le tue strette reti
attorno al sepolcro di donna romana.

Nel bagliore di pietra scolori
il foglio e leggi
– eureka, un’acqua di salina
rossa in origine, ferrosa.

Anch’io ti trovo in un luccichio.

***
lamento dell’Uccello colpito

Vladimiro: Mi ricordo di un energumeno
che tirava calci.
Estragone: E l’altro che lo tirava, ti
ricordi anche di lui?
Vladimiro: Mi ha dato
degli ossi.

Samuel Beckett

cavami da le piume gli insulti lo sfrenìo
la velocità indifferenziata che era danza
o salto, che ormai non muove semplicemente
mi rende probabile; la memoria finta da usare
come un nome, questa memoria insomma divina
indifferente di un calcio e di ossa, di un debole
dèmone mosso a pena a cerchio (leggero leggero
lo spirito ragazzino, e ciò sottile sottile
indistinto, destinato): Dedico a Te questa morte
padula -ché sei l’Artificiere-; impiegane
la festa, se pure alza l’Avverso, lo cattura

***

Lamento della sposa barocca (octapus)

T’avrei lavato i piedi
oppure mi sarei fatta altissima
come i soffitti scavalcati di cieli
come voce in voce si sconquassa
tornando folle ed organando a schiere
come si leva assalto e candore demente
alla colonna che porta la corolla e la maledizione
di Gabriele, che porta un canto ed un profilo
che cade, se scattano vele in mille luoghi
– sentite ruvide come cadono -; anche solo
un Luglio, un insetto che infesta la sala,
solo un assetto, un raduno di teste
e di cosce (la manovra, si sa, della balera),
e la sorte di sapere che creatura
va a mollare che nuca che capelli
va a impigliare, la sorte di ricevere; amore
ti avrei dato la sorte di sorreggere,
perché alla scadenza delle venti
due danze avrei adorato trenta
tre fuochi, perché esiste una Veste
di Pace se su questi soffitti si segna
il decoro invidiato: poi che mossa un’impronta si smodi
ad otto tentacoli poi che ne escano le torture.

Da Ispirazione Viola.


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