Santo e benedetto proposito quello di tenere unito il partito! Ma quale partito? Il Pdl o Forza Italia? Oppure l’uno e l’altro uniti insieme dopo, come sostengono alcuni, averlo defalchizzato o, come pensano altri, dopo aver tagliato i garretti agli alfaniani?
Questi interrogativi riempiono le cronache dei giornali come se fossero quelle di un derby giunto alla fine del primo tempo e che deve ancora vedere come andrà a finire il secondo. Ma a nessuno sembra interessare granché il vero interrogativo che grava sul Popolo delle Libertà o Forza Italia che dir si voglia.
Un interrogativo che non riguarda i giocatori in campo per il derby tra falchi e colombe ma gli spettatori paganti che sono costretti a guardare dagli spalti una partita a cui dovrebbero partecipare direttamente ma da cui sono tassativamente esclusi. Ma una forza politica non è una squadra di calcio.
Perché è vero che gli elettori si comportano molto spesso come i tifosi ma è ancora più vero che non possono essere uniformati a chi ha come unici compiti quelli di pagare il biglietto (per lo stadio o per la pay Tv) e di gioire o piangere per le fortune o le disgrazie della squadra del cuore. Gli elettori non sono spettatori passivi.
Sono, al contrario, i veri detentori del potere di incidere sulla vita del paese che i loro rappresentanti utilizzano sul campo politico in nome e per conto di chi li ha eletti. Non importa se il partito sia cesarista, leaderistico o plebiscitario.
La legittimazione al cesare, al leader, a chi ottiene l’investitura plebiscitaria viene sempre e comunque dai cittadini. Ed è a loro che si deve comunque fare riferimento quando, come è successo per il Pdl-Forza Italia, scoppiano lotte di potere tra i gruppi di dirigenti investiti della rappresentanza popolare. Qualche sondaggista si è divertito ha testare il probabile peso elettorale dei falchi e delle colombe.
Ed ha fornito dei numeri che sembrano tirati fuori dalle cronache dei tempi della scissione di Gianfranco Fini e del suo raggruppamento.
Nessuno dubita che se il movimento di Silvio Berlusconi si spaccasse in due la parte guidata dal Cavaliere otterrebbe in caso di elezioni due o tre volte i consensi della parte guidata da Alfano.
Ma la sorte del centro destra non può essere una questione da far risolvere dai sondaggi o, come sta avvenendo in questi giorni, da una trattativa segreta tra gruppi antagonisti accomunati esclusivamente dal ritrovarsi nelle rispettive posizioni di vertice non perché eletti ma perché designati. E’ il momento, in sostanza, di cedere il passo ai detentori veri del potere di rappresentanza popolare. E’ il momento, in sostanza, di un congresso. Che non si risolva nella conta delle tessere di chi ha più soldi da investire ma un congresso aperto delle idee a cui possano partecipare tutti gli elettori del centro destra.
Senza un congresso che assicuri una effettiva partecipazione popolare ed un reale confronto di proposte e progetti non ci può essere nessuna unità, nessuna ripresa, nessuna prospettiva per il futuro di un centrodestra presentabile e liberale.
Arturo Diaconale
Commento: l’opinione di Diaconale nel suo significato più alto è altamente condivisibile, ma gli elettori a cui fa riferimento si sono stancati di portare l’acqua con le orecchie, e poi vedere eletti i soliti ignoranti, insulsi e inciucioni, sia a livello nazionale che locale, impegnati a spartirsi la tortina, perchè di tortina si tratta, e che operano solo per mantenere la propria poltroncina più a lungo possibile, ed alcuni personaggi che una volta eletti sono spariti dopo i vari bla bla elettorali. Se l’obiettivo è quello di perpetuare il postificio… beh forse è inutile sprecare risorse passione e tempo.
Ricordo a memoria un solo congresso in 20 anni di Forza Italia prima e Pdl dopo, ed il risultato fu quanto di più inglorioso si potesse immaginare, con il segretario “già nominato” dall’alto prima del voto.F.L.R.