Coniglio nero in campo nero

Creato il 15 dicembre 2014 da Albertocapece

Ho aspettato qualche giorno a parlare di Napolitano e della sua ultima uscita contro la cosiddetta antipolitica che al Colle pare un’emergenza molto più grave del cancro corruttivo che ci sta uccidendo. Ho aspettato perché a caldo mi sarei lasciato andare a contumelie ancor più gravi di quelle con cui il Quirinale vilipende l’intelligenza degli italiani. Ecco ci dovrebbe essere nel codice penale e civile il reato di vilipendio del popolo. Ma adesso sono molto più calmo e quindi posso serenamente affrontare un discorso sul “coniglio bianco in campo bianco” la nota definizione che Ferrara diede di Napolitano, della sua innata codardia, del suo rimanere sempre a bordo campo e di mimetizzarsi, nu guaglione fatt’a vecchio come disse di lui lo scrittore Luigi Compagnone.

Ma questa volta il vegliardo guaglione ci ha mostrato in extremis il morso del coniglio, ha svelato, nella bizzosità naturale dei ruggenti 90, un animus forse nascosto per interi decenni sulle panchine delle riserve e degli uomini di secondo piano come è stato per tutta la sua vita nel Pci e nei suoi derivati. Infatti accanto all’invettiva istituzionalmente scorretta e soprattutto incoerente contro i Cinque Stelle, il presidente, si è lasciato andare  anche a uno sconsiderato attacco alla libertà di stampa e di opinione: della situazione eversiva porterebbero  “pesanti responsabilità anche alcuni mass media e opinionisti senza scrupoli”. Dunque siete avvisati: qualunque opinione non coincida con quella di coniglio bianco e coniglietto Renzi, è eversione.

Insomma abbiamo un presidente che fa carta straccia persino dei diritti fondamentali. Uno che sembra pensare alla politica come a fatti di apparato nei quali i cittadini non possono entrare. Forse è finalmente il riflesso sincero e irrefrenabile di quello spirito gregario e ambizioso assieme che lo indusse a iscriversi alla gioventù universitaria fascista nel tardo 1942, a guerra già persa a regime declinante e Shoa crescente, così come lo indusse a salire sul carro del Pci, prossimo probabile vincitore, dopo la liberazione di Napoli, che lo fece inneggiare alla repressione in Ungheria e successivamente, con la crisi dell’Urss a portare avanti una ambigua conversione al  craxi – liberismo.

Sinceramente, ma questa è una mia opinione eversiva, tutte queste giravolte non danno la sensazione di trovarci di fronte a un mutamento di idee, quanto ad una serie di fortunati opportunismi: dubito fortemente che Napolitano abbia mai partecipato a un movimento di pensiero, ma che anche in questo caso se ne stia stato in panchina senza mai entrare in partita, accontentandosi di piccoli esercizi sull’opinione prevalente. In questo è il perfetto specchio di un ceto politico che nel 90 per cento dei casi non va oltre le suggestioni familiari e i risvolti di copertina e nel quale appunto le idee e le ideologie vengono opportunamente deprezzate come ostacoli per il Palazzo. Non per nulla è l’unico presidente rieletto.

Solo che negli ultimi anni, a fine carriera, si è voluto prendere la viva e vibrante soddisfazione di scendere in campo con una maglia senza numero e tentare di andare a gol invece di fare l’arbitro. Il risultato finale è drammatico e disastroso, una ragione in più per rivoltarsi stizzoso contro la realtà e trovare il coraggio di uscire definitivamente dalla mimetizzazione di una vita. Purtroppo riesce a rievocare solo i propri inizi quando la libertà di stampa e di opinione era una bestemmia e la vittoria finale una bugiarda illusione sparsa a piene mani, come avviene, mutatis mutandis, anche adesso. In fondo  e nonostante queste uscite il coniglio si nasconde abbastanza nello spirito del tempo e nelle sue vuote parole d’ordine di crescita, governabilità, impoverimento, svendita di diritti che non sopportano opposizione. E’ diventato coniglio nero in campo nero.


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