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Connessioni Terra-Luna ultraveloci: ecco come

Creato il 22 maggio 2014 da Media Inaf
La stazione di terra del sistema di telecomunicazioni LLCD. Nell'immagine sono visibili le quattro finestre circolari dei telescopi di uplink. Crediti: Robert LaFon, NASA/GSFC

La stazione di terra del sistema di telecomunicazioni LLCD. Nell’immagine sono visibili le quattro finestre circolari dei telescopi di uplink. Crediti: Robert LaFon, NASA/GSFC

E’ il sogno di tutti gli internauti quello di navigare in rete con la più veloce connessione possibile. Già viaggiare a cento megabit al secondo da un computer di casa è un privilegio che non molti, almeno in Italia, possono permettersi, non solo per ragioni economiche ma anche infrastrutturali. Ha così lasciato davvero il segno la notizia (vedi Internet superveloce sulla Luna), lo scorso autunno, che l’esperimento Lunar Laser Communication (LLCD), realizzato dalla NASA in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology,  ha trasmesso dati attraverso gli oltre 384.000 chilometri che separano la Luna e la Terra all’eccezionale velocità di 622 megabit al secondo in download e quasi 20 megabit al secondo in upload.

Con questi numeri, in linea di principio, si può scaricare il contenuto di un cd rom in poco più di un secondo o attendere meno di un minuto e mezzo per riversare i dati contenuti in un disco Blu Ray a doppio strato pieno zeppo. Ma come è stato possibile ottenere questo risultato? Il team di LLCD presenterà i risultati dettagliati dell’esperimento alla Conference on Laser Electro-Optics, che si ti terrà dall’8 al 13 giugno prossimi a San José in California, ma oggi rivela alcuni dettagli sull’infrastruttura e sul sistema di comunicazione che ha permesso di raggiungere la connessione record.

“Comunicare a velocità di trasmissione elevate dalla Terra alla Luna con raggi laser è una sfida molto difficile per la grande distanza – quasi 400.000 chilometri – lungo la quale il fascio di luce tende a disperdersi” dice Mark Stevens, del Lincoln Laboratory al MIT, uno dei membri del team LLCD.  “E’ poi doppiamente difficile attraversare l’atmosfera , perché la turbolenza può deviare il fascio, producendo una rapida attenuazione del segnale o addirittura un’interruzione della comunicazione con la stazione ricevente”.

Per superare questi problemi, scienziati, ingegneri e tecnici coinvolti nel progetto  LLCD hanno messo in campo una serie di soluzioni mirate a raggiungere connessioni praticamente prive di errori anche con condizioni atmosferiche avverse. Ad esempio, la stazione di Terra, che si trova a White Sands , nel New Mexico, utilizza quattro telescopi separati per inviare il segnale di uplink alla Luna. Ogni telescopio ha un’apertura di circa 15 centimetri di diametro ed è alimentato da un trasmettitore laser che invia informazioni codificate tramite impulsi di luce infrarossa, quindi non percepibile dall’occhio umano. La potenza totale del trasmettitore di appena 40 watt, più o meno quella assorbita dall’alimentatore di un notebook.

La scelta di utilizzare quattro telescopi è stata motivata dal fatto che i segnali emessi devono attraversare l’atmosfera terrestre che può deviarli. Avere quattro fasci separati, che attraversano altrettante e differenti colonne d’aria, aumenta la probabilità che almeno uno di essi possa alla fine del suo viaggio interagire con il rivelatore sulla sonda LADEE, all’epoca ancora in orbita attorno alla Luna.  Meno di un miliardesimo dei 40 Watt di potenza che costituivano il segnale originario è stato ricevuto dal satellite, ma pur sempre dieci volte superiore al limite minimo per ottenere una comunicazione priva di errori di trasmissione.

“Con LLCD abbiamo dimostrato la capacità del sistema di tollerare le attenuazioni sui segnali dovuti alle nubi, così come i grandi sbalzi di potenza del segnale provocato dalle turbolenze atmosferiche, raggiungendo prestazioni senza errori anche lavorando con margini di segnale esigui”, conclude Stevens, che prevede un futuro utilizzo di questo metodo di comunicazioni anche su future missioni a più ampio raggio, come quelle verso Marte o i pianeti esterni del Sistema solare.

 

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani


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