«consapevolezza tamarra!»
Creato il 07 febbraio 2011 da Omar
«Consapevolezza Tamarra». È probabilmente racchiusa in queste due semplici paroline la più efficace chiave di decodifica per un libro come Bacchiglione Blues (Edizioni Perdisa), secondo parto della penna di Matteo Righetto dopo il pirotecnico - e assai discusso - Savana Padana (Edizioni Zona). Strizzando infatti l’occhio alla poetica dell’eccesso cara a tanta letteratura di genere (soprattutto a stelle e strisce), lo scrittore padovano distribuisce anche stavolta le carte del proprio mazzo riuscendo a infiocchettare - con mano inevitabilmente più sicura rispetto all’esordio - una storia che ossequia i canoni del pulp più duro e puro e che ha dalla sua la deliberata volontà di divertire attraverso una rappresentazione urticante e «cafona» della più oscura provincia del nord-est: tra fischi di pallottole e inseguimenti al cardiopalma, ecco allora le distese di barbabietole e gli acquitrini del Veneto sostituirsi agli spazi sconfinati del Texas e della Lousiana, mentre ai rozzissimi rednecks dei grandi romanzi di matrice southern americana Righetto antepone una pattuglia di fumettosi bifolchi padani assolutamente privi di morale quanto di avvedutezza, tre criminali da barzelletta che s’infilano – mossi, manco a dirlo, dalla più bieca avidità - in un gioco che si rivelerà ben presto troppo grande per loro: sequestrata infatti la giovane moglie di un industriale dello zucchero nella convinzione di ottenerne in cambio un pingue riscatto, dovranno vedersela con l’inaspettata risolutezza dell’uomo il quale, su invito del proprio consigliere cocainomane, assolderà una nuova e più spietata squadra di ceffi patentati per risolvere la faccenda secondo l’antica Legge del Taglione e riprendersi la moglie senza sganciare una lira. In un crescendo forsennato di colpi di scena, il romanzo s’incammina così senza intoppi lungo un epilogo che - come da contratto in questi casi - porterà le ramificazioni della vicenda a risolversi in un massacro che ha il sapore della catarsi.Pagando il dovuto dazio al nume tutelare «Big» Joe Lansdale (soprattutto nel ricorso all’invenzione di metafore colorite e scoppiettanti come ad esempio «la fame iniziava a stringere le viscere come un anaconda avvinghiato a un capretto»), Righetto si conferma quindi scrittore capace di mettere su carta la componente più sbracata e «tarantiniana» della odierna società italica e anzi, sarà qui opportuno segnalare ai soloni della critica che non di solo Tarantino vive il pulp contemporaneo, essendo il buon Quintino letteralmente cresciuto a pane e poliziotteschi nostrani, poiché quando si tratta di far cantare le pistole (Sergio Leone docet) noi mangiaspaghetti non siamo secondi a nessuno. E proprio a uno dei capostipiti del filone, quel Milano Odia, la polizia non può sparare di Umberto Lenzi (1974), sembra – chissà quanto intenzionalmente – fare riferimento il Blues del Bacchiglione architettato da Matteo Righetto, dal quale si direbbe prelevata, in una sorta di affettuoso omaggio all’apripista, la massiccia dose di ultraviolenza e l’idea del rapimento di una ricca signora da parte di un gruppo di balordi sciroccati.Che altro aggiungere? Per chi ancora si ostina a pensare che il Belpaese sia destinato a soccombere sotto le tonnellate di carta straccia dei vari Moccia/Muccino/MelissaPanarello, consiglio vivamente di affondare il naso nel lavoro di lenta ma divertita decostruzione del mito che sta compiendo una nuova genia di autori originali, cazzutissimi e motivati come Righetto (ma la squadraccia di Expendables della narrativa di genere italiana si allarga – grazie a Dio! - a macchia d’olio: impossibile qui non menzionare, per lo meno per la medesima area di appartenenza nordica, anche Alberto Custerlina, un altro «cafone consapevole» che attraverso i suoi turbo-noir ci mostra in prospettiva il Male che non vorremo vedere). Correte in libreria, adesso. (questa rece è uscita anche qui su SugarPulp)Bacchiglione Blues - Matteo Righetto (Ed. Perdisa)
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