Non mi pare il caso di dire che lo scarso - usiamo un eufemismo, per carità di patria - risultato della nazionale italiana di calcio sia lo specchio della condizione di crisi in cui si trova il nostro paese. Il calcio rimane comunque uno sport, in cui le occasioni e i colpi di fortuna - e naturalmente quelli di sfortuna - hanno un peso molto forte: se il guardialinee non si fosse accorto del quasi impercettibile fuorigioco di Quagliarella, adesso saremmo qui a raccontare una storia diversa. Ma la prova regina che non c'è una stretta relazione tra lo stato del paese e le sorti della nazionale è la vittoria dell'Italia di Lippi nel mondiale del 2006: allora l'Italia-paese faceva schifo praticamente come oggi.
Sgombrato il campo da questo sociologismo da quattro soldi, ci sono però alcuni aspetti della sconfitta della nazionale che descrivono abbastanza bene quello che avviene nel nostro paese. La sconfitta della nazionale è frutto certamente dell'incapacità dei quei calciatori di gestire l'indubbia pressione che un appuntamento internazionale di quel livello porta con sé e dell'incapacità del commissario tecnico di capire cosa stava succedendo nelle teste dei suoi giocatori. Però sarebbe ingeneroso dire che le responsabilità sono soltanto queste. Eppure in Italia funziona così: si individua un responsabile e gli si butta la croce addosso e intanto gli altri aspettano che passi la bufera.
La crisi della nazionale la conseguenza logica di una serie di incapacità a livello dirigenziale: la Figc è debolissima e in balìa di decisioni che vengono prese in altre sedi, non c'è nessun investimento sui centri giovanili federali, non c'è nessuna programmazione seria riguardante le nazionali giovanili che dovrebbero essere i naturali vivai per la nazionale maggiore. Nonostante tutto questo Abete rimarrà al suo posto, certamente consigliato dal suo immarcescibile predecessore e mentore Franco Carraro. Nel calcio attuale la nazionale è una parentesi, perché tutto il rilevantissimo interesse economico è concentrato sul super-campionato che giocano una dozzina di squadre a livello europeo: lì ci sono i soldi, lì ci sono le persone che decidono. Ovviamente nessuno - o ben pochi, specialmente tra i cosiddetti addetti ai lavori - ha interesse a disturbare il munifico manovratore e quindi si va avanti così. D'altra parte nessuno ha provato a criticare Marchionne e nessuno criticherà i padroni delle grandi squadre.