La politica italiana sta andando in vacanza e ci consegna un divertente paradosso. Berlusconi, per storia personale e soprattutto per sua naturale indole, è la persona più estranea alle regole, scritte e non scritte, della vita istituzionale e politica italiana, tanto da teorizzare una sorta di democrazia carismatica, in cui conta unicamente il legame diretto tra il leader e il suo popolo, senza alcuna altra mediazione. Questa è in fondo l'unica riforma istituzionale che davvero sia stata introdotta in Italia in questi sedici anni: la divisione del paese in due schiere nettamente avverse e inconciliabili, i berlusconiani e gli antiberlusconiani.
Ora, anche se la netta maggioranza degli italiani continua a essere berlusconiana nelle proprie viscere più profonde, Berlusconi si ritrova a guidare un governo senza maggioranza parlamentare, e il fatto divertente è che siano rispuntate alcune definizioni che sembravano ormai definitivamente consegnate alla storia recente della vita politica italiana: "governo balneare" o "governo della non-sfiducia", come se Berlusconi fosse uno di quei notabili democristiani degli anni sessanta, da televisione in bianco e nero, un Rumor qualsiasi ad esempio. Anzi - e qui sta il paradosso - proprio a queste regole, a queste pratiche politiche, che egli considera stantie e bolla solitamente come "teatrino della politica", deve la possibilità di rimanere a Palazzo Chigi, nonostante la nascita del nuovo partito di Fini segni di fatto la fine di questa legislatura. Ma finché non ci sarà un esplicito voto di sfiducia, il governo Berlusconi potrà continuare a vivacchiare, sperando nelle assenze o in qualche transfuga: il berlusconismo meritava forse una fine migliore, almeno più drammatica e spettacolare, come quella immaginata da Moretti ne "Il caimano". Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane.
Da questa crisi - e mi dispiace moltissimo, come potrete immaginare - esce comunque sconfitto il centrosinistra. Più che sconfitto, annichilito. Considerare come unica alternativa credibile a questo governo un esecutivo di transizione o di larghe intese, guidato magari da Tremonti, significa rinunciare in partenza al proprio ruolo di alternativa. Il centrosinistra - in particolare il Partito Democratico - immagina per sé un ruolo di opposizione o di irrilevanza politica per i prossimi anni. A questo paese occorre proporre un progetto alternativo a quello portato avanti con coerenza dal centrodestra e per farlo bisogna ripartire da alcuni concetti da sempre fondamentali della sinistra: ridistribuzione, giustizia sociale, lotta contro i privilegi, coniungadoli con valori che sono diventati via via nostro patrimonio, come la tutela delle pari opportunità, la difesa dei diritti individuali e la lotta per la legalità. Ci vorrà forse tempo, ma perché rinunciare in partenza?
Considerazione scritta giovedì 5 agosto